La Valle Maira e la figura dell’acciugaio che la leggenda vuole legata al contrabbando del sale
La Val Maira si trova nella provincia di Cuneo e corre da ovest a est, collegando la Francia alla Pianura Padana. Dista oltre cento chilometri dal mare (130 km da Savona, 150 km da Nizza), eppure è qui che sul finire del XIX secolo gli uomini, giovani e non, delle famiglie locali, si improvvisarono acciugai (anchoiers in occitano, anciuè in piemontese). Nella brutta stagione, molti abitanti di questa vallata erano costretti ad abbandonare la loro casa per andare a cercare una fonte di guadagno altrove. Era un’emigrazione che sovente non puntava ad aumentare le ricchezze della famiglia, ma semplicemente a non gravare sul consumo delle magre risorse disponibili.
Erano per lo più contadini che arrivavano da Moschieres, Margherita, Ruata Prato, Celle Macra, Paglieres, Lottulo, Macra e San Michele Prazzo e che alternavano alle coltivazioni e al pascolo estivo l’attività del commercio invernale. Terminato il lavoro nei campi di segale, grano saraceno, e grano, accudite le poche mucche dal cui latte cavavano burro e qualche forma di formaggio, vitelli da vendere per l’ingrasso, cominciavano a scendere a valle con i loro caruss azzurri. Erano carri leggeri ma resistenti, costruiti a Tetti di Dronero, con cui gli anciuvé affrontavano i valichi per scendere a comprare le acciughe in Liguria, a Imperia, ma anche a Genova, dove gli affari si fecero lungo il secolo scorso più articolati, sino a che alcuni stipularono contratti con laboratori siciliani e spagnoli facendosi da lì spedire la merce.
Sul perché una valle di alpini e contadini sia diventata il crocevia del commercio di acciughe, molte sono le ipotesi che nei decenni sono state avanzate, dalle più plausibili alle più strampalate. C’è persino chi si è spinto fino a sostenere che l’obiettivo degli acciugai fosse in origine quello di commerciare il sale, ma stanti gli enormi dazi previsti qualcuno ebbe la furba idea di nascondere il sale nelle botti, porre uno strato di acciughe in cima e ingannare così i gabellieri. Salvo scoprire con l’andar del tempo che il commercio stesso delle acciughe era di per sé redditizio, e anche decisamente meno pericoloso. Una cosa comunque è certa: il sale ha sicuramente agevolato la nascita di questa professione, consentendo di conservare le acciughe anche per lunghi periodi e di trasportarle e andarle a vendere anche in regioni molto lontane dal mare.
Da quel che si sa dai racconti dei vecchi, di solito partiva prima un capofamiglia, uno già esperto, che andava nei porti della Liguria a comprare la merce per poi portarla o spedirla in qualche città della pianura padana. Gli altri della famiglia, parenti o amici fidati, lo raggiungevano in quello che diveniva il loro campo base, punto di smistamento. Quel nuovo mestiere per alcuni fu l’inizio di una fortuna: più intraprendenti, scaltri o fortunati, ebbero modo di dar vita a dei veri imperi economici con numerosi dipendenti e aziende tutte loro di lavorazione del pesce, addirittura in Spagna. Nel secondo dopoguerra, la maggior parte abbandonò definitivamente il paese d’origine, e scese in pianura per dedicarsi esclusivamente al commercio. Non più il carretto, ma mezzi a motore, via via più comodi e attrezzati.
Oggi i paesi della valle da cui gli acciugai provenivano sono quasi abbandonati. Dopo la Seconda guerra mondiale, la maggior parte di essi si è trasferita, abbandonando un lavoro ambulante in favore di una professione sedentaria, spesso sostituendo il carretto e la stadera con le vetrine e le illuminazioni di un negozio. Molti figli hanno preferito non raccogliere l’eredità dei padri. Proprio lì, uno dei borghi che più ha risentito di questa inesorabile tendenza è Moschieres, frazione di Dronero. Praticamente abbandonato e ormai quasi deserto, è però ancora caratterizzato da un forte odore di pesce, al punto che ancora oggi numerosi sciami di mosche volano sino a lì, sperando di trovare un po’ di quel nettare e dando così il nome al borgo.
Perché il ricordo di questa tradizione non sia destinato a perdersi con lo sparire delle generazioni più anziane, a Celle Macra la Comunità Montana ha allestito delle postazioni multimediali (all’interno dell’ex Chiesa di San Rocco) dove è ampiamente sviluppato il tema dei mestieri itineranti della valle: artisti, artigiani, allevatori e, soprattutto, acciugai. Per concludere, se volete approfondire ulteriormente l’argomento vi consigliamo due interessanti letture: Il salto dell’acciuga, di Nico Orengo: un breve racconto confidenziale che spiega come ha avuto origine il salto che l’acciuga ha fatto per arrivare dal mare sino alla Val Maira; Il sale nelle vene, di Diego Crestani e Riccardo Abello, un’opera interamente dedicata ai mestieri scomparsi che hanno caratterizzato la valle.
Piero Abrate