L’affresco sindonico di Nole Canavese, preziosa testimonianza pittorica del Sacro Lino
Nel 1993, all’interno della cappella dedicata a San Grato, oggi ubicata nel centro abitato di Nole Canavese, ma in origine inserita in un contesto campestre (come attesta l’intitolazione a San Grato, tradizionalmente invocato dai contadini a protezione delle coltivazioni), vennero alla luce due affreschi di notevole valore storico e artistico, risalenti alla seconda metà del Cinquecento, che erano rimasti per molto tempo nascosti sotto uno spesso strato di vernice e che sono stati riportati all’originario splendore grazie alla campagna di restauri condotta nel 2018.
Come annotano Jacopo Tanzi e Federico Valle, autori di uno studio sul ciclo pittorico della cappella di San Grato, il primo affresco, situato nella lunetta della parete di sinistra, raffigura la “Resurrezione di Cristo”, secondo uno schema iconografico ricorrente nell’arte occidentale, ma di cui si hanno pochi esempi in area canavesana. Il Signore, uscito dal sepolcro, si eleva nell’aria, avvolto in una mandorla di luce, tanto potente che da essa si sprigionano nuvole di fumo, mentre con la mano sinistra impugna un vessillo crociato, in segno di vittoria (per questo è anche denominato, in queste raffigurazioni, “Cristo vittorioso”). I due soldati, posti a guardia del sepolcro, adoperano gli scudi per ripararsi dalla abbagliante emissione di luce, mentre sulla destra dell’affresco si apre uno squarcio che mostra un paesaggio agreste con un villaggio turrito, forse una rappresentazione pittorica di come doveva apparire il paese di Nole nel Cinquecento, con le Alpi Graie che definiscono l’orizzonte.
Il secondo affresco, inserito nella lunetta della parete destra, rivolta a occidente, mostra invece un’ostensione della Sindone, la più importante reliquia della Cristianità, in possesso di Casa Savoia dal 1453, quando Margherita di Charny ne fece dono alla duchessa Anna di Lusignano, consorte di Ludovico di Savoia, assicurandola, quindi, agli eredi della coppia ducale. L’ostensione sindonica si trova qui rappresentata alla maniera “di Chambéry”, anche detta “alla Savoia”, cioè riproducendo in concreto le modalità di svolgimento del rituale con cui il Sacro Lino, che avvolse il corpo di Cristo dopo la Crocifissione, veniva esposto alla venerazione dei fedeli una volta l’anno, il 4 maggio, nella capitale ducale, Chambéry, e poi, dal 1578, data del suo trasferimento, a Torino, nuova sede della corte sabauda.
Secondo il rituale in uso, il telo veniva mostrato ai fedeli sorretto da figure religiose, in genere vescovi, presenti in numero dispari, in modo tale che apparisse al centro, in posizione privilegiata, la figura di rango più alto. Questo modo di raffigurare la sacra reliquia differisce dalle cosiddette “adorazioni simboliche” che mostrano, invece, la Sindone sorretta da figure celesti, spesso con gli angeli oppure con la Madonna al centro e, ai lati, i santi legati alla dinastia sabauda o al culto locale. Ad esempio, nell’affresco sindonico settecentesco presente nella piazza della Chiesa a Corio, vediamo la Sindone sorretta da due angeli alla presenza della Madonna, San Giuseppe, San Francesco d’Assisi e Santa Chiara.
L’affresco sindonico di Nole Canavese, datato dagli studiosi intorno al 1580, è considerato il secondo più antico in assoluto dopo quello realizzato nel 1535 a Voragno, frazione di Ceres, località della Val d’Ala (Valli di Lanzo), sulla parete esterna della chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano. Nell’affresco di Voragno, appartenente anch’esso alla tipologia “di Chambéry” e ricollegabile a un artista della Scuola Vercellese, compaiono il cardinale Ludovico di Gorrevod, vescovo di Saint-Jean-de-Maurienne, e i duchi di Savoia, Carlo II detto il Buono e la moglie Beatrice del Portogallo, ben riconoscibili dagli stemmi, che commissionarono la pittura con intenti devozionali, ma anche commemorativi di un evento storico, con lo scopo di lasciare una testimonianza concreta del transito della Sacra Sindone in questa località montana durante l’allontanamento precauzionale della reliquia da Chambéry, la capitale dinastica a quel tempo minacciata dall’occupazione francese.
Tornando all’affresco sindonico di Nole Canavese, qui sono rappresentati tre figure di vescovi e, alle loro spalle, due personaggi non religiosi, che Claudio Bertolotto ha ritenuto, sulla base di raffronti con altre opere (ad esempio i ritratti di corte eseguiti da Giacomo Vighi detto l’Argenta e dal fiammingo, naturalizzato piemontese, Jan Kraeck, conosciuto anche come Giovanni Caracca) e indizi contenuti nell’affresco, di identificare con i duchi di Savoia Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I.
La presenza dei duchi di Savoia, come nel caso di Voragno, potrebbe far ricondurre l’affresco sindonico di Nole a una committenza sabauda, ma non esistono, al momento, elementi in grado di suffragare questa affermazione.
C’è anche chi ipotizza, sempre istituendo un parallelo con l’affresco di Voragno e con altre pitture sindoniche eseguite con intenti commemorativi e non solo devozionali, che l’affresco della cappella di San Grato costituisca la testimonianza pittorica del passaggio della Sindone a Nole, durante il viaggio di trasferimento definitivo della reliquia da Chambéry a Torino, dove giunse, nel castello di Lucento, il 5 settembre 1578, dopo essere transitata dalla Valle d’Aosta o, secondo un’altra ricostruzione, dalle Valli di Lanzo.
Concludiamo questa breve descrizione, che speriamo possa invogliare i lettori alla visita, con un doveroso cenno al santo titolare, Grato, che fu vescovo di Aosta, vissuto nel V secolo, indicato dalla tradizione come colui che ritrovò, durante un viaggio in Terra Santa, la testa di San Giovanni Battista, nascosta al fondo di un pozzo, da cui fuoriuscì come sospinta da una forza soprannaturale.
Per questa ragione, il santo aostano è spesso rappresentato in abiti vescovili e con accanto una testa mozzata, ma l’iconografia tradizionale lo raffigura anche nell’atto di deviare una tempesta proprio all’interno di un pozzo, salvaguardando così le coltivazioni. Questa modalità di rappresentazione è un riferimento al potere protettivo, di cui San Grato è sempre stato ritenuto depositario nel mondo contadino, contro i flagelli naturali, in particolare le tempeste e la grandine, ma anche contro gli insetti e gli animali nocivi per i raccolti, come le locuste o i bruchi.
Nella parete di fondo della cappella di Nole, si trova un grande affresco, parte del ciclo pittorico tardo-cinquecentesco riscoperto nelle campagne di restauro del 1993 e 2018, che riproduce illusionisticamente una pala d’altare lignea con la Madonna che appare in alto e, disposti ai suoi piedi, secondo il modello della “sacra conversazione”, San Bernardo da Mentone, protettore dei valichi alpini, e il titolare della chiesa, San Grato, rappresentato mentre regge la testa di San Giovanni Battista e con il pozzo in cui viene fatta precipitare la grandine.