Le cantine del “Castello di Neive”, alle origini del Barbaresco moderno
ALBA. Nel cuore delle Langhe, in posizione panoramica a circa 300 metri d’altitudine, sorge il paese di Neive, strettamente legato alle origini del Barbaresco, il nobile vino prodotto con uve Nebbiolo coltivate in una ristretta area a est di Alba, nei comuni di Barbaresco, da cui trae il nome, Treiso, Alba e Neive.
Determinanti nel segnare la nascita del Barbaresco in senso moderno, vino elegante, dai profumi eterei e complessi, caratterizzato da una maggiore morbidezza al palato rispetto al “fratello” Barolo, furono i conti di Castelborgo, che dal primo Settecento, al margine sud-ovest del borgo medievale di Neive, avviarono la costruzione dell’edificio oggi noto come “castello di Neive”, in realtà una sontuosa residenza barocca, provvista di ampi giardini (oggi meno vasti d’un tempo) cui dà accesso un maestoso portale disegnato dall’architetto neivese Giovanni Antonio Borgese. Dal 1964 nella residenza dei conti di Castelborgo, con le spaziose cantine che si sviluppano a diversi livelli seguendo l’andamento della collina, s’insediò la famiglia Stupino, che fondò l’azienda vitivinicola “Castello di Neive”.
Il feudo di Neive, a lungo conteso tra Asti e Alba per la sua posizione strategica, su una diramazione dell’antica via Aemilia Scauri, tracciata dai Romani per collegare la costa ligure all’entroterra padano, entrò a far parte nel 1387 della dote di Valentina Visconti che, sposando Luigi d’Orléans, fratello di Carlo VI re di Francia, consegnò alla dinastia francese il dominio sulla contea di Asti. Nel 1531 passò ai duchi di Savoia, che ne acquisirono la signoria per eredità da Beatrice del Portogallo, moglie di Carlo II di Savoia, investita della contea di Asti e dei feudi collegati per concessione dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, suo cognato.
I terreni e le cantine del “castello di Neive” – non quello medievale, distrutto per vendetta dagli Astigiani nel 1274, ma la residenza barocca dei Castelborgo – divennero teatro nel corso dell’Ottocento delle sperimentazioni condotte dai conti che, seguendo una moda diffusa al tempo in Piemonte, misero a dimora prestigiose varietà forestiere di uva, nel tentativo di imitare i grandi vini di Borgogna. Così fece il marchese Alfieri di Sostegno nelle sue tenute di San Martino Alfieri, e allo stesso modo agirono i Castelborgo, che nei possedimenti di Neive introdussero, accanto ai vitigni tradizionali, il Pinot Noir, attestato in loco da metà Ottocento, ma forse già immesso in precedenza.
Il Pinot Noir, tuttora coltivato nel vigneto più vicino al paese e al castello, chiamato “I Cortini”, come il vino che vi si ricava, morbido e caldo, con tannini non invadenti, deve la sua notorietà internazionale ai grandi vini di Borgogna, dove il celebre vitigno a bacca nera godeva sin dal Medioevo di tale considerazione da indurre il duca Filippo l’Ardito nel 1395 a emanare un editto che ne ordinava l’impianto al posto delle vigne del più produttivo, ma meno pregiato, Gamay.
Re incontrastato di queste colline, ammantate di viti nelle parti più elevate e meglio esposte al sole, e di noccioleti, meno sensibili al forte tasso di umidità, sulle pendici dei rilievi e nei fondovalle, è però il vino Barbaresco Docg, ricavato da uve Nebbiolo, che oggi, in base al disciplinare, può essere commercializzato dopo 26 mesi di invecchiamento, di cui 9 in legno, mentre nel caso della Riserva il periodo è prolungato a 50 mesi, di cui sempre 9 in legno. Il percorso che condusse al battesimo del Barbaresco, vinificato applicando le più progredite tecniche già in uso da tempo in Francia, vide come protagonisti nelle fasi iniziali proprio i conti di Castelborgo, che verso la metà dell’Ottocento chiamarono a lavorare in azienda come consulente il grande enologo e mercante di vino francese Louis Oudart, nativo della Champagne e fondatore a Genova dell’azienda di vini Maison Oudart et Bruché.
Secondo la versione popolare, in larga parte basata sulla “Storia della vite e del vino in Italia” pubblicata nel 1937 da Marescalchi e Dalmasso, Louis Oudart è da considerarsi l’inventore del Barolo moderno, che egli avrebbe messo a punto lavorando al servizio del conte di Cavour nella sua tenuta di Grinzane e soprattutto nelle cantine della nobile d’origine vandeana Juliette Colbert di Maulévrier, meglio nota come Giulia di Barolo, discendente del celebre ministro del re Sole ed erede delle vaste proprietà del marito, marchese Tancredi Falletti di Barolo. Recenti studi (Anna Riccardi Candiani) mettono in discussione questa teoria, sostenendo che, pur essendo comprovata la presenza di Oudart in Piemonte al tempo di Cavour, in archivi e biblioteche non esiste traccia documentale di contatti tra Camillo Benso e Oudart e nemmeno tra Giulia di Barolo e il celebre enologo.
Il rapporto tra Oudart e Camillo Bongiovanni conte di Castelborgo è invece assodato. Al secondo livello delle cantine del castello di Neive, dove c’è la corte, sono ancora visibili due strumenti legati alla lavorazione dell’uva fatti installare proprio da Oudart: una grande stadera per pesare i carri d’uva e vino, in entrata e in uscita, e un torchio con un avanzato sistema di tiro della barra. Da queste e altre migliorie applicate alla gestione delle vigne e della cantina l’enologo francese ottenne un vino secco e stabile, ricavato da uve Nebbiolo, che presentò con il nome “Neive” all’Esposizione di Londra del 1862, guadagnando la medaglia d’oro. Oudart anticipò così di circa trent’anni la produzione delle prime bottiglie etichettate ufficialmente come “Barbaresco”, uscite dalle cantine del castello di Barbaresco nel 1894, grazie all’opera di Domizio Cavazza, agronomo, ampelografo e produttore di vini. Se così non fosse accaduto, Neive godrebbe oggi di maggiore celebrità!
Nonostante il contributo dei conti di Castelborgo e di Oudart, il padre del Barbaresco è considerato dunque Domizio Cavazza, di natali modenesi, ma albese d’adozione, dal 1881 direttore della neonata Scuola pratica di viticoltura e enologia di Alba. Di fronte alle resistenze dei produttori di Barolo ad accettare l’estensione dell’area di produzione alle colline a est di Alba, il Cavazza prese l’iniziativa e, con il sostegno di un gruppo di viticoltori, nel 1893 fondò la Cantina Sociale di Barbaresco, individuando una zona produttiva omogenea comprendente, oltre a Barbaresco, le colline di Treiso e Neive. Mise così in commercio le prime bottiglie di vino con il nome di “Barbaresco”, considerato per molto tempo una versione ingentilita del più ruvido Barolo, almeno sino all’avvento di Angelo Gaja, che innovò completamente l’immagine di questo prodotto.
Il nome Barbaresco, legato al comune in cui si concentra oltre la metà della produzione, sembra evocare i Barbareschi, vocabolo con cui erano anche designati i Saraceni, invasori giunti nel X secolo, ma secondo altri è piuttosto da mettere in relazione con la “Barbarica Silva”, l’impervia foresta che copriva le colline sulla destra Tanaro, temuta dai Romani per le imboscate tese dai Liguri Stazielli, che qui avevano trovato rifugio. Come precisa il disciplinare i terreni riservati al Nebbiolo da Barbaresco presentano una componente argillosa e calcarea (in diverse combinazioni): in particolare nell’area tra Barbaresco e Neive i suoli, caratterizzati da marne argillose che trattengono l’acqua (e dunque poco soggetti alla siccità), appartengono al periodo Tortoniano, strato portato allo scoperto dall’azione erosiva del Tanaro.
L’importanza della composizione e della giacitura dei terreni nel definire i caratteri del vino, considerazione particolarmente vera nel caso di Barolo e Barbaresco, prodotti in aree con estrema varietà e complessità dei suoli, è attestata dall’inserimento ufficiale nel 2007 della mappatura dei vigneti nel disciplinare di produzione del Barbaresco Docg: tale modifica consente ai produttori di scrivere in etichetta le “Menzioni Geografiche Aggiuntive”, non corrispondenti ai cru francesi, ma indicanti sottozone ben delimitate e con tratti peculiari che comprendono vigne di più proprietari.
Oltre al Barbaresco e ai classici Barbera e Dolcetto, al bianco Arneis, al Moscato, allo spumante Pinot Noir metodo classico, le cantine del castello di Neive propongono poi il Langhe Riesling e un interessante Piemonte Albarossa, ricavato dall’omonimo vitigno, un incrocio di Barbera e Nebbiolo di Dronero, che deriva la propria originalità dall’aver unito le caratteristiche delle due varietà.