Arte

Le Sculture Bestiario di Mainolfi in mostra ai giardini della Reggia di Veneria e La Mandria

Dal 21 giugno, e fino al 10 novembre, la Reggia di Venaria ospita le sculture Bestiario di Luigi Mainolfi, ospite d’onore campano che dagli anni Settanta vive e lavora a Torino. In esposizione, più di venti lavori, realizzati tra il 1978 e il 2020, ambientati nella Corte d’Onore e nel Gran Parterre dei Giardini della Reggia. La mostra è a cura di Guido Curto, Direttore generale del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, e di Clara Goria, Conservatrice della Reggia di Venaria, che hanno selezionato le più di venti opere, tutte a tema zoomorfo, da qui viene il titolo, Bestiario. Questo rimanda ai Bestiari dei codici miniati medievali illustrati con raffigurazioni di animali reali e immaginari, e alla zoologia fantastica dello scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges. Un tema caro a Mainolfi, già autore del Bestiario del Sole, popolato di colorate creature metamorfiche, sospese tra mito e fiaba.

Luigi Mainolfi, Titan, 2008, Bronzo, Collezione dell’artista
(Fonte: Consorzio delle Residenze Reali Sabaude)

La mostra si insinua nelle architetture barocche, invade le verdi geometrie dei giardini ed entra in contatto con la viva presenza di cerbiatti e altra fauna selvatica del vicino parco La Mandria, riserva naturale di biodiversità. Sono creature fantastiche e mutanti, che paiono dialogare con gli animali raffigurati nella Reggia di Venaria, dedicata fin dalla metà del Seicento al mito di Diana, dea della caccia e della Luna.

Le installazioni messe in scena permettono così di ripercorrere l’attività di Mainolfi a partire dagli anni Settanta: da Alatino (1978), un autoritratto come un Icaro in formato ridotto (in ceramica e piume di uccello), fino alle più recenti Bandiere (2007-2020). Tra le prime produzioni in bronzo troviamo le Isole dell’Arcipelago (1983), per arrivare al gruppo di sculture bronzee (2004-2016) installate nel Gran Parterre, e ritornare infine alla leggerezza del «disegno in ferro» delle Gabbie (1996-1999), con l’invito di Mainolfi a guardare verso l’alto facendo «un piccolo tentativo di volo, di staccarci da terra».

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