Locuzioni e modi di dire della Lingua piemontese: “I l’hai passaje ‘l bleu”
La curiosa origine di questa tipica espressione idiomatica: dé ‘l bleu o passé ‘l bleu a quaidun
Con il tramonto dell’Impero napoleonico, e la restaurazione delle monarchie esautorate dal grande corso, anche i Savoia fecero ritorno a Torino dal forzato esilio.
Vittorio Emanuele I, tornato sul trono illegittimamente usurpato, impose di cancellare ogni insegna, simbolo, vessillo o decorazione che potesse ricordare l’occupazione francese, condannandola alla “damnatio memoriae”. Quei simboli, quei decori, quei fregi vennero asportati e risostituiti da quelli sabaudi, e sui palazzi tornò a sventolare il drapò con la croce bianca (la croce di San Giovanni) campeggiante sul fondo rosso contornato da un bordo blu Savoia e sovrastata dal caratteristico “lambello” di pari colore.
Più che una ritinteggiatura materiale con tanto di pennello intinto nella vernice blu, si era trattato di una riverniciatura simbolica, figurata, metaforica, con l’intento di rivoltare pagina e di archiviare per sempre un capitolo di storia che in realtà, con qualche eccezione, andava stretto non solo alla Casa regnante, ma pure agli stessi piemontesi.
Però l’espressione “i l’hai daje ‘l bleu” è rimasta nella parlata popolare, e ancor oggi – per dirla con Luciano Milanese, cultore e studioso di Lingua piemontese – “viene usata dai piemontesi generalmente in senso disdegnoso, quasi tracotante, e si applica alla volontà di troncare nettamente con il passato o con una persona, senza se e senza ma”.
Proprio come cantava Gipo Farassino nella sua indimenticabile ‘Serenata ciocaton-a‘: “Scot-me mi, ti ‘t ses na cita.. Daje ël bleu, e pij-me mi…”.
Esiste anche un’altra versione per spiegare l’etimologia di questa espressione. E’ quella che ci ricorda Franco Burdisso: “Questo modo di dire sarebbe legato al mondo dell’ industria metalmeccanica. Fino alla metà del secolo scorso, per certificare la levigatezza dei “pezzi” che venivano prodotti da frese, alesatrici o lavorazioni manuali, li si poneva su “un piano di riscontro” cosparso di una sostanza definita “blu di Prussia”, scientificamente blu di metilene. Se le superfici del “pezzo” risultavano omogeneamente ricoperte di questa sostanza, il “pezzo” poteva definirsi compiuto e pronto per la spedizione; il “blu di Prussia” svolgeva inoltre una funzione di protezione nei confronti di agenti esterni come la polvere o l’ umidità. Tale pratica legata al mondo delle officine passò rapidamente all’ ambito delle relazioni sociali, ad esempio quelli tra fidanzati, quando uno dei due “spediva” l’ altro verso altri lidi…”
Entrambe le interpretazioni sono accreditate e verosimili: lasciamo al Lettore il diritto e il piacere di optare per l’una o per l’altra, a seconda di quella che ritiene più realistica. Ma potrebbero essere corrette tutte e due, rafforzando l’uso dell’espressione nel tempo, passando da Ottocento a Novecento. In ogni caso, la forza, la magia e l’efficacia delle locuzioni verbali e dei modi di dire della nostra lingua regionale sono sempre sorprendenti. Conoscerne le origini, ce le fa apprezzare ancora di più.
Sergio Donna