Quegli abusi puniti con il sangue nel castello di Roccapietra in Valsesia…
Frazione del Comune di Varallo, in Valsesia, Roccapietra conta appena 600 abitanti, ma sa stupire per le sue meraviglie artistiche e naturalistiche. Sull’altura che domina Roccapietra un tempo svettava il castello dedicato a santo Stefano, una fortezza edificata dai conti di Biandrate nel 1050 per esercitare il loro potere sulla valle, così come per controllare le strade di accesso alla Valsesia e quelle provenienti dal lago d’Orta attraverso Civiasco e Cilimo. Per circa 300 anni esercitarono il loro potere sulla valle fino alla fine del XIV secolo quando tra il 1372 e il 1374 i Valsesiani si liberarono della presenza oppressiva dei conti di Biandrate dichiarandoli nemici della valle e distruggendo i loro castelli sia per impedire un eventuale loro ritorno che per vendicarsi di secoli di angherie. Nel 1402 il feudo della Valsesia venne assegnato da Gian Galeazzo Visconti a Francesco Barbavara che ricostruì il castello di Santo Stefano, ma si comportò, nei riguardi dei suoi sudditi, alla stessa stregua dei precedenti feudatari, tant’è che ancor oggi in quel di Varallo e di Rocca Pietra, il suo nome suona male. Per tredici anni i valsesiani subirono le stesse angherie, sino al 1415 quando, dopo aver distrutto nuovamente la fortezza, riuscirono a liberararsi definitivamente del feudalesimo e costrinsero Barbavara a lasciare precipitosamente la valle. Oggi del castello si possono ammirare solo i ruderi: i resti della piccola cappella, di alcuni muri perimetrali, di una torre di guardia, del portale di ingresso e della cisterna dell’acqua che, osservando quello che ne rimane, doveva avere un soffitto a botte.
Sul maniero e sulle sue vicissitudini esistono alcune leggende. Una di queste narra di un ricco contadino di Roccapietra che, dovendo sposarsi, salì al castello per chiedere al feudatario di rinunciare al diritto della prima notte, diritto che il signorotto aveva nei riguardi delle spose dei suoi sudditi. Il feudatario accettò in cambio di ricchi doni. Ma quando vide la sposa se ne invaghì talmente che decise di non mantenere la parola data. Per lavare l’onta subita il ricco contadino di Roccapietra radunò i propri parenti e quelli della sposa. Si formò un gruppo di una decina di congiurati decisi a tutto: nascosti all’interno di covoni di fieno, riuscirono a penetrare nel castello senza essere visti. Quando il feudatario e i suoi parenti si riunirono terminarono il banchetto e stavano per raggiungere le loro stanze i congiurati uscirono dal loro nascondiglio. Sopraffecero le guardie presenti nel salone delle feste e uccisero tutti quelli che vi trovarono. Solo una donna, una discendente dei conti di Biandrate, fu risparmiata. I congiurati, prima di liberarla lasciarla ripartire per Biandrate, approfittarono di lei.
Un’altra leggenda narra di un ricco mercante francese che, partito dalla Provenza per un pellegrinaggio a Roma, strada facendo, chiese ospitalità ai conti di Biandrate. Un rampollo della famiglia, innamoratosi della di lui bella e giovane moglie, la trattenne per se. Il mercante fu costretto a continuare il viaggio da solo. Tornato in Provenza assoldò una numerosa schiera di mercenari con i quali ridiscese a Biandrate deciso a riprendersi la moglie. Ma nel frattempo costei ed il rampollo dei Conti si erano rifugiati in Valsesia nel castello di Santo Stefano, convinti di aver trovato un rifugio sicuro. Non è dato di sapere come i mercenari siano riusciti ad espugnare il castello. Sta di fatto che, secondo la leggenda, lo fecero. Liberarono la giovane moglie del mercante e passarono a fil di spada tutti quelli che vi trovarono. Fu salvato solo il rampollo dei conti di Biandrate che fu rispedito ai parenti, dopo essere stato privato degli attributi maschili.
Un fondo di verità in entrambe le storie vi deve essere: la fantasia popolare non arriva ad inventare cose nuove, ma parte sempre da fatti realmente accaduti. In ogni caso c’è chi giura di aver udito tra i ruderi nelle notti di luna piena urla e lamenti, come se qualcuno avesse sorpreso gli astanti con l’intento di spargere sangue, senza risparmiare uomini e donne.
Piero Abrate