Mondovì 1472: l’alba della moderna stampa piemontese
MONDOVI’. Percorrendo a Mondovì l’antica Contrà Dj Caglié, via costeggiata da edifici d’impianto medievale, in parte porticati, che attraversa l’antico rione Pian della Valle, s’incontra, poco prima di piazza Santa Maria Maggiore, una targa lapidea che immortala una data fondamentale nella storia della città e dell’editoria piemontese, il 1472. Il 24 ottobre di quell’anno, infatti, si pubblicò, all’interno di una bottega ricavata nel vetusto palazzo, il primo libro con data impressa stampato in Piemonte con la tecnica dei caratteri mobili, che era stata introdotta in Europa nel 1455 dall’orafo e incisore tedesco Johann Gensfleish, meglio noto come Gutenberg, nativo di Magonza.
Il merito di tale primato, che consacra Mondovì come città pioniera della stampa piemontese, uno dei primi centri in cui si mise in pratica la tecnica, al tempo rivoluzionaria, messa a punto da Gutenberg, alla base dello sviluppo della moderna industria libraria, va attribuito all’esponente di un’illustre famiglia monregalese, Baldassarre Cordero, che aveva deciso di investire capitali nella neonata arte tipografica mettendosi in società con lo stampatore fiammingo Antonio Mathias di Anversa.
Va però annotato che, in base a ricerche condotte da esperti bibliofili, in Piemonte vi fu un esperimento precedente: secondo la datazione del “dottissimo barone Vernazza”, attorno al 1470/1471, applicando la medesima tecnica nata in Germania, si stampò a Savigliano un libro, il Manipulus Curatorum (manuale per parroci) del teologo e giurista Guido de Monte Rocher. A differenza del caso monregalese, il testo edito a Savigliano non riporta impressa la data di pubblicazione, rimanendo quindi incerto il riferimento temporale. Le operazioni di stampa vennero eseguite dal tipografo tedesco Johann Glim con il sostegno finanziario del saviglianese Cristoforo Beggiamo, che rivaleggia quindi con il monregalese Baldassarre Cordero nel palmarès degli iniziatori dell’arte tipografica in Piemonte. In entrambi i casi si trattava di sodalizi nati tra investitori piemontesi e tipografi tedeschi o comunque nordici, che avevano appreso e esportato la nuova tecnica (il Beggiamo e il Cordero, negli scritti di alcuni studiosi, sono inoltre indicati essi stessi come tipografi e non solo come finanziatori).
L’epopea di Baldassarre Cordero s’inserisce in un contesto cittadino, quello della Mondovì quattrocentesca, caratterizzato da notevole prosperità economica e vivacità culturale. Il nucleo embrionale della città di Mondovì s’era formato alla fine del XII secolo (data ufficiale di fondazione è il 1198), sulla cima del colle dove oggi sorge il rione Piazza, dall’aggregazione degli abitati preesistenti di Vico (che risultava già strutturato secondo il modello comunale, con propri sindaci e consoli), Carassone e Vasco, cui si aggiunsero poi altri villaggi contermini. La finalità dell’iniziativa era di costruirsi spazi di autonomia politica affrancandosi dall’egemonia del vescovo di Asti e contando sull’appoggio del comune astigiano, che si trovava in competizione con l’autorità vescovile per il controllo del territorio.
Il nuovo insediamento, che nel 1204 vide riconoscere ai suoi abitanti la cittadinanza astese a condizione di acquistare casa in città e pagare il fodro insieme con gli astigiani, venne battezzato Mons Regalis (Monte Regale, da cui la designazione dei residenti come “Monregalesi”), titolatura in seguito sostituita da “Monte di Vico”, l’odierna Mondovì, dal nome della più importante fra le comunità promotrici della fondazione (il centro di Vico). Non fu sempre facile per gli amministratori del nuovo comune trovare un equilibrio tra le diverse forze in campo, dovendosi assoggettare di volta in volta a signori più potenti, dal vescovo di Asti agli Angioini, sino ai Visconti e infine ai Savoia, cui la città di Mondovì si diede nel 1396 con un patto di sottomissione che regolava i rapporti reciproci, accordando ai Monregalesi rilevanti concessioni, come il privilegio della libera levata del sale.
La crescente importanza di Mondovì, favorita dall’invidiabile posizione strategica lungo le vie di comunicazione verso la costa ligure, trovò conferma nel 1388 con il riconoscimento del rango di “civitas” (città con cattedra vescovile) ottenuto con la bolla “Salvator noster” emanata da papa Urbano VI. Il pontefice, osservando come “in Mondovì, colla benedizione del Signore, la popolazione era in modo straordinario aumentata più che in niuna altra parte del Piemonte”, decise di istituire la diocesi monregalese staccandola dal territorio del vescovo di Asti.
Il Quattrocento fu per Mondovì, ormai integrata negli Stati Sabaudi, un secolo prospero, segnato da espansione urbana e sviluppo economico: proprio in questa cornice si colloca l’opera di Baldassarre Cordero, che seppe inserirsi con la sua intraprendenza nella scia delle tante iniziative imprenditoriali fiorite nel settore librario a seguito dell’introduzione in Europa della tecnica di stampa a caratteri mobili dovuta all’ingegno di Gutenberg. L’incisore tedesco, editore della famosa “Bibbia di Gutenberg”, di cui la Biblioteca Apostolica Vaticana conserva due copie, una in pergamena e la seconda in carta, mise a punto una tecnica di stampa, basata sull’utilizzo di matrici smontabili e ricomponibili, che consentiva di produrre in tempi rapidi un numero considerevole di copie dello stesso testo, aumentando enormemente le potenzialità del settore librario, in precedenza affidato al tradizionale sistema della copiatura a mano eseguita da esperti amanuensi.
L’innovazione, contribuendo in modo determinante alla circolazione della cultura, si diffuse, con tempi e modi differenti, in varie contrade d’Europa, grazie all’opera di stampatori itineranti che si spostavano di località in località, recando con sé l’attrezzatura del mestiere, per mettersi al servizio di ricchi investitori e signori locali disposti a sostenerli finanziariamente. A questa categoria di pionieri dell’arte tipografica apparteneva Antonio Matthias di Anversa che, trasferitosi a Genova, vi aveva aperto una stamperia in società con Lamberto Laurenszoon di Delft, contando sul sostegno economico di facoltosi patrizi locali. Nel giro di pochi mesi, ritiratosi Lamberto di Delft, subentrò un nuovo socio, il monregalese Baldassarre Cordero che, in seguito al manifestarsi d’una epidemia di peste, convinse il fiammingo a trasferire la sede dell’attività a Mondovì, rimasta immune al propagarsi del morbo.
Fu qui, nella vivace città piemontese, che nel 1472 vide la luce il primo libro stampato in Piemonte con la tecnica introdotta da Gutenberg, il trattato “De institutione confessorum” del teologo domenicano Sant’Antonino, al secolo Antonino Pierozzi (1389-1459), che fu vescovo di Firenze. Come annota Gioachino Grassi di Santa Cristina, canonico della cattedrale, nella dissertazione “Della tipografia in Mondovì” (1801-1804), il Monteregale, ossia Mondovì, è dunque storicamente la prima città piemontese che “può vantare un libro in cui sia notato il luogo e il tempo dell’impressione, e i nomi degli Stampatori”. Nell’anno seguente, il 1473, i due tipografi diedero alle stampe le Satire di Giovenale e le Epistole di Ovidio. La pregevolezza di queste edizioni è dovuta, secondo il Grassi, alla qualità della carta e “ai nitidi e tondi caratteri Romani che vi si ammirano”.
Il rapporto professionale tra il piemontese Cordero e il fiammingo Matthias non durò a lungo, per via di screzi culminati in un violento litigio con strascichi giudiziari, ma altre famiglie monregalesi, avendo intuito le potenzialità della nascente industria libraria, ne raccolsero il testimone, avviando attività tipografiche. Tra questi risalta il nome dei Vivalda che, con Lorenzo, fondatore dell’omonima stamperia, editarono nel 1480 un Salterio con Cantici e Inni. Risale invece al 1481 la pubblicazione, ad opera di Domenico Vivalda, dell’Aesopus moralisatus, un adattamento delle favole di Esopo con commenti a carattere morale, opera impreziosita da tavole illustrate, mentre nel primo Cinquecento aprì i battenti l’officina tipografica di Vincenzo Barruerio, considerato il pioniere dell’editoria popolare illustrata.
Il Grassi colloca invece nel 1564 il trasferimento a Mondovì dello stampatore fiammingo Lorenzo Torrentino, che era stato al servizio di Cosimo de’ Medici a Firenze, e del tipografo e filologo olandese Arnoldo Arlenio. Con l’insediamento (provvisorio) a Mondovì dell’Università torinese, deliberato con diploma del 1560, fu proprio Lorenzo Torrentino, in collaborazione con l’Arlenio, ad essere prescelto dal duca Emanuele Filiberto di Savoia per condurre la stamperia universitaria, dotata di attrezzature e torchi trasportati dalla Toscana. Malgrado il rientro dell’Università nella sua sede originaria di Torino, avvenuto nel 1566, a Mondovì fu mantenuta sino al 1712 una sede distaccata, in grado di attribuire lauree in modo autonomo, e tale decisione favorì il perdurare di una significativa attività tipografica privata.
Per onorare la plurisecolare tradizione monregalese nelle arti tipografiche è stato aperto nel 2001 il Museo Civico della Stampa, tra i fiori all’occhiello della città, insieme con il Museo della Ceramica, l’altro settore produttivo in cui, specialmente nella seconda metà dell’Ottocento, si distinsero i Monregalesi (molto popolari le maioliche “Vecchia Mondovì” prodotte dalla fabbrica “Vedova Besio & figli”), che ha trovato sistemazione negli spazi del prestigioso palazzo Fauzone di Germagnano, un monumentale edificio d’impianto medievale affacciato su piazza Maggiore, provvisto nel Settecento d’una elegante facciata barocca a “marmorino”.
Il Museo della Stampa, allestito nel seicentesco ex convento dei Carmelitani Scalzi e curato nei sette percorsi tematici dall’inglese James Clough, raccoglie la più importante collezione pubblica italiana di attrezzature e macchine per la stampa. Il nucleo più consistente è costituito dalla corposa collezione del torinese Ernesto Saroglia (1908-1989), costruttore e riparatore di macchine da stampa, cui si aggiunge il lascito di Marisa Belloni con le attrezzature appartenute all’editrice Tipografia Moderna di Nizza Monferrato, fondata nel 1922 dal padre Arnaldo Belloni. Tra gli oggetti in esposizione ricordiamo l’esemplare più antico, un torchio litografico utilizzato nel Seicento dalla Biblioteca Reale di Torino e poi dalla Regia Università per la stampa di lauree e diplomi, il torchio e il tagliacarte adoperati da Don Bosco nella scuola professionale per tipografi istituita nel 1862 a Valdocco, la prima del genere in Italia, e la grande pianocilindrica Marinoni che nel 1848 stampò la prima edizione del quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”.