Nati il 13 agosto: il fondatore della Fiat Giovanni Agnelli
Il 13 agosto 1866 a Villar Perosa nasce uno dei personaggi che nel primo mezzo secolo del Novecento avrebbero segnato profondamente la storia della nascente industria italiana: Giovanni Agnelli o per l’esattezza Giovanni Francesco Luigi Edoardo Aniceto Lorenzo. Da bambino viene iscritto al collegio San Giuseppe, quindi frequenta il ginnasio di Pinerolo e completa gli studi classici a Torino. Successivamente viene avviato alla carriera militare all’Accademia militare di Modena, dove consegue il grado di ufficiale di cavalleria. Ben presto, però avverte un crescente disinteresse per la vita militare, attirato com’è dai progressi tecnologici, alimentati dai progressi della rivoluzione industriale di matrice anglosassone. Progressi che risvegliavano in lui il desiderio d’intraprendere una carriera dedita interamente alla produzione di nuovi mezzi tecnologici, che in quel periodo iniziavano a rendere più comoda e facile la vita quotidiana: le automobili. Trasferitosi a Torino nel 1892, a 26 anni, entra in contatto con l’aristocrazia locale, appassionata di meccanica e automobilismo. E’ il nobile possidente Ludovico Scarfiotti a coinvolgerlo nell’avventura industriale della nascente Fiat, di cui ottenne il ruolo formale di segretario del Consiglio di Amministrazione.
Agnelli riesce abilmente a sfruttare i conflitti tra i soci, mostrando ambizione e arrivismo e riuscendo a scalzare già nel 1906 molti dei restanti fondatori con un complesso gioco azionistico-bancario che gli garantisce la maggioranza, approfittando poi dei guai che coinvolgono l’azienda col primo crollo della Borsa del 7 luglio 1907. Mentre i quotidiani smascherano una truffa ai danni dei soci estromessi, la questura di Torino, nel 1908, denuncia lui e altri dirigenti per “illecita coalizione, aggiotaggio in Borsa e alterazione di bilanci sociali”, convinta del fatto che il dissesto finanziario della Fiat dovesse attribuirsi a sue losche macchinazioni. Secondo le indagini, Agnelli aveva provocato nel biennio 1905-1906 “enormi e ingiustificati rialzi nelle azioni della Fiat” affinché l’azienda venisse posta in liquidazione, per poi rifondarla immediatamente senza i soci originari e priva dei punti nell’acronimo (Fiat). Agnelli, dopo il rinvio a giudizio per aggiotaggio e truffa, va a processo nel 1911, in un clima di forti manovre politiche e sotto la protezione dal capo del Governo, il cuneese Giovanni Giolitti. L’imprenditore di Villar, che aveva fornito mezzi militari per la vittoriosa guerra in Libia, viene assolto con formula piena. Alla fine della Grande Guerra l’industriale riesce così ad acquisire la maggioranza del capitale azionario, completando l’ascesa al trono della Fiat.
La trasformazione da fabbrica locale ad azienda di fama mondiale si concretizza durante il Fascismo, quando il monarchico Agnelli, consapevole che gli italiani non dispongogno né di un reddito sufficiente per permettersi le automobili né di autostrade su cui farle sfrecciare, produce forniture belliche negli stabilimenti torinesi, in modo massiccio e anche per il mercato estero. Ormai piegato il movimento di lotta operaia che aveva prodotto l’occupazione delle fabbriche nel cosiddetto “Biennio rosso” 1919-1920, e completato nel 1922 l’imponente stabilimento del Lingotto sul modello americano della catena di montaggio introdotto da Henry Ford, Agnelli sostiene con immediato opportunismo la formazione del Governo Mussolini (1922), ricambiato con la nomina a senatore del Regno (1923).
A dire il vero, tra Agnelli e Mussolini non vi è simpatia e il sostegno reciproco viene dettato dagli interessi. Da un lato, il presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia non pretende dall’industriale plateali manifestazioni di lealtà ideologica, consapevole che la Fiat sia utile all’economia nazionale e necessaria alla politica internazionale del Regime. Dall’altra, ad Agnelli interessa far leva sul nazionalismo esasperato di Mussolini, che torna utile alla sua azienda sia in termini di spinta del prodotto interno, sia nella repressione del movimento dei lavoratori. A completare il piano strategico c’è l’acquisizione del quotidiano La Stampa nel 1926, dopo che sei anni prima aveva acquista dal senatore Alfredo Frassati una quota azionaria del 20 per cento, con un diritto di prelazione sulla rimanente parte del capitale. Attraverso la carta stampata, Agnelli si assicura i favori dell’opinione pubblica e la protezione della Casa Reale, mentre i gerarchi, dal canto loro, allineano la stampa alle direttive e alla propaganda di Regime.
In quegli anni viene fondato il famoso stabilimento del “Lingotto” dove venne impiantata la prima catena di montaggio italiana, ispirata senza ombra di dubbio alla Ford che l’imprenditore aveva visitato in quegli anni negli Stati Uniti. Egli vede inoltre un grande futuro nello sci, sport allora nato da poco. Fra il 1928 e il 1931 acquista alcuni terreni al colle del Sestriere, in alta Val Chisone, dove costruisce la seconda stazione sciistica italiana dopo Bardonecchia, aperta sin dal 1908.
Negli anni quaranta Giovanni Agnelli, ormai settantenne, sceglie il nipote Giovanni junior, figlio di Edoardo, come suo successore alla guida delle aziende. Delega Vittorio Valletta, uomo legato alla massoneria, in attesa che maturi il giovane rampollo, a dirigere pro tempore le redini dell’impero Fiat. Per salvare il salvabile negli ultimi anni del conflitto, con le fabbriche del gruppo danneggiate dai bombardamenti, Agnelli, come una bandiera al vento e in difesa dei suoi interessi, si produce in un gioco diplomatico su tutti i fronti, concedendo sovvenzioni al movimento partigiano, creando rapporti economici con gli Alleati anglo-americani e sostenendo il colpo di Stato. Ma i guai per lui non sono ancora finiti. Alla vigilia della Liberazione viene accusato dalla Commissione del Cln , insieme a Vittorio Valletta e a Giancarlo Camerana, per le epurazioni, di compromissione con il regime fascista e privato temporaneamente della proprietà delle sue imprese. Ha appena il tempo per ricevere in via ufficiosa l’informazione della sentenza di assoluzione, quando muore a Torino. E’ il 16 dicembre 1945.