Nati il 18 gennaio: Giorgio Franchetti, mecenate torinese che restaurò Ca’ d’Oro a Venezia
Giorgio Franchetti nasce a Torino il 18 gennaio 1865. Terzo figlio di Raimondo (nominato barone da Vittorio Emanuele II di Savoia nel 1858) e di Sara Luisa Rothschild (figlia di Anselm Salomon e di Charlotte Rothschild), discende da una famiglia ebraica di banchieri mantovani, poi fondatori di una società di trasporti in carrozza nell’Italia settentrionale, e finanziatori delle campagne risorgimentali. Con l’avvento della ferrovia il padre Raimondo diviene imprenditore agricolo in diverse zone d’Italia, dalla Toscana al Veneto, accumulando un’ingente ricchezza grazie alle bonifiche, soprattutto nel basso Livenza. Suoi fratelli sono Alberto, valente compositore e musicista da cui nascerà Raimondo (1889-1935), forse il più grande esploratore italiano del ventesimo secolo ed Edoardo, dedicatosi alla carriera diplomatica.
Terminati gli studi all’Accademia militare di Torino, in disaccordo con il padre si trasferisce prima a Dresda, seguendo il fratello Alberto, e poi a Monaco, dove inizia a prendere lezioni di piano. Nella città bavarese conosce la giovane baronessa Maria Hornstein Hohenstoffeln, che sposa nel 1890. Il suo interesse per la raccolta di oggetti d’arte si manifesta proprio in quel periodo, quando fa acquisti di arredamento (alcuni tappeti turchi e un pregevole arazzo fiammingo del XVI secolo, tessuto su un cartone ancora tardogotico). Di pari passo progredisce il suo interesse per la musica, che lo ha portato a comporre un concerto per pianoforte e orchestra, eseguito a Monaco.
Dopo la nascita nel 1891 del primo figlio, Luigi, i rapporti con il padre vanno migliorando e Giorgio decide di tornare a Venezia, nella casa di proprietà di famiglia, il grande palazzo Cavalli a San Vidal, sul Canal Grande. Dopo averlo acquistato, i Franchetti hanno fatto eseguire lavori di ristrutturazione dell’edificio che ne hanno profondamente alterato l’originaria struttura gotica. Giorgio non condivide queste scelte e si trasferisce in una piccola abitazione dall’altra parte del campo. Nel 1894, venuto a sapere che il palazzo della Ca’ d’oro è in vendita, dopo molte esitazioni dovute al cattivo stato di conservazione dell’immobile, passato in più mani e profondamente alterato dalle divisioni in appartamenti, decide di acquistarlo, impegnandosi poi nella non facile impresa di restituire all’edificio l’originario aspetto quattrocentesco.
Da questo momento la storia della sua vita e la storia del restauro della Ca’ d’oro diventano inscindibili. . Alla volontà di effettuare un restauro il più possibile fedele alle forme originarie dell’edificio affianca elementi nuovi e in questa operazione è sostenuto dal suo raffinatissimo gusto, dalla scelta di materiali preziosi e rari e dal lavoro di maestranze qualificate. Di pari passo accanto al restauro continua a incrementare la collezione con l’acquisto di opere rilevanti. Tra queste il S. Sebastiano di Mantegna, e una serie di dipinti veneti e lombardi del XV e XVI secolo.
Lo sforzo per il restauro è notevolissimo e per alcuni anni è costretto a sospendere l’impresa. Tuttavia il 19 maggio 1916, ottenuta la donazione della Ca’ d’oro e delle sue collezioni, lo Stato italiano lo affianca nell’opera. Gravemente malato, Giorgio si suicida nel proprio letto con un colpo di pistola alle 6 del mattino di domenica 17 dicembre 1922. L’anno seguente le ceneri sono riposte nel cortile della Ca’ d’Oro.