Nati il 31 dicembre: Felicita Ferrero, giornalista torinese con una forte passione politica
Felicita Ferrero nasce a Torino il 31 dicembre 1899. Per poche ore non è stata figlia del nuovo secolo. La futura, convinta seguace del socialismo umanitario, cresce in una famiglia di umili origini. Terminata la scuola media, diventa impiegata presso una piccola azienda. Di sera, tuttavia, essendo appassionata di lingue, inizia a studiarle dando la preferenza al russo. Si interessa anche alle diatribe sindacali, iniziando ad occuparsi di alcune ingiustizie padronali. Contemporaneamente affiora in lei la sua passione giornalistica e, poco dopo aver fatto la conoscenza di Antonio Gramsci, inizia la collaborazione con Ordine Nuovo.
Sfrutta le sue conoscenze linguistiche per fare parte di una delegazione di comunisti italiani a Mosca, lieta in tal modo di sfuggire alle prime persecuzioni fasciste. Al congresso del Comintern sarà a fianco dell’onorevole Umberto Terracini. Felicita ascolta con interesse i responsabili del mondo sovietico, anche se sarà testimone con sorpresa delle purghe staliniane. Rientrata in Italia e iniziano per lei i duri momenti della clandestinità. Contemporaneamente attacca il PCI con severe critiche per la scarsità di ruoli assegnati alla donna. Ma ecco una nota personale decisamente rosa: si innamora di un giovane dalla carriera assai promettente, Velio Spano, futuro membro dell’assemblea costituente. La polizia politica scopre la coppia mentre sta contestando con asprezza il comportamento del regime.
Il Tribunale Speciale nell’aprile del 1928 la condanna a 6 anni di reclusione. Sconta la pena a Roma e a Trani. Nel 1932, ammalata e debilitata, ottiene un permesso speciale per curarsi e ritorna in Unione Sovietica dove viene ricoverata in sanatorio. Una volta guarita si rimette al lavoro presso Radio Mosca, ma allo stesso tempo è colpita da una sanzione che riguarda l’emigrazione comunista italiana. Condotta in carcere, viene accusata di essere stata l’amante di Michele Donati, ex personaggio di spicco della Scuola leninista, diventato un traditore. La donna nega con tutte le sue forze e solo dopo mesi è rimessa in libertà, obbligata comunque a prestare servizio presso il “Commissariato del popolo per gli affari interni moscoviti”, cosa che la frustra enormemente. Racconterà le sue tragiche esperienze nel suo libro Un nocciolo di verità pubblicato nel 1978.
Alla fine della Seconda guerra mondiale fa rientro a Torino. Nel 1957, a seguito dello scoppio della rivolta d’Ungheria nell’ottobre precedente, decide di abbandonare il partito per le sue posizioni contrarie alla linea ufficiale, opponendosi all’intervento militare delle armate sovietiche e prendendo le difese di Imre Nagy, il principale esponente dell’ala riformatrice del partito comunista ungherese, accusato di defezione e di tradimento da Mosca. Nel libro Il grande gelo descrive in maniera più romanzata la sua esperienza di emigrata politica in Unione Sovietica: attraversando gli anni più duri della società sovietica, affronta il clima di tensione e di caccia al nemico interno. Nel 1978 riesce a far pubblicare, seppure con qualche difficoltà dovuta sia al suo passato comunista, sia alla sua eterodossia, il libro di taglio autobiografico Un nocciolo di verità. Si ammala agli inizi del 1984 e muore il 9 febbraio di quell’anno.