Nati il 7 novembre: Guido Segre, imprenditore e dirigente d’industria originario di Torino
Guido Segre nasce a Torino il 7 novembr5e 1881. Dopo la prematura morte del padre Vittorio Emanuele va a studiare in Germania, e quando torna in Piemonte, poco più che ventenne, viene assunto prima al Credito italiano, poi alla Fiat, dove diventa direttore amministrativo e quindi vicedirettore. Allo scoppio della Prima guerra mondiale rifiuta l’esonero che gli era dovuto per la sua carica alla Fiat e parte per il fronte con il grado di tenente di complemento del Genio. Combatte gli austriaci sul fronte dell’Isonzo, colleziona medaglie una dietro l’altra e quando l’Impero è sconfitto l’ormai tenente colonnello Guido Segre entra vittorioso a Trieste al fianco del generale Carlo Petitti di Roreto.
Nella Trieste messa in ginocchio dalla guerra, Guido occupa il posto-chiave ai vertici all’Ufficio Affari Economici del Governatorato, nelle cui stanze passa il futuro economico della città. Futuro non facile, visto da ex ricchissimo emporio dell’Impero, Trieste deve ora dimostrare di poter dare un valido apporto al resto dell’Italia che tanto ha penato per averla. Segre è l’uomo giusto al posto giusto: con abile manovra diplomatico-finanziaria realizza un’operazione geniale, assicurando a Trieste il recupero di obbligazioni e titoli creditizi che giacciono nelle principali banche austriache, favorendo inoltre il concordato tra la Banca commerciale triestina e l’austriaca Credit Anstalt. Non è l’unica alleanza che conduce con l’ex nemico di trincea: tra alcuni anni Guido sposerà proprio un’austriaca, Gabriella Anna Metz, cattolica, conosciuta a Portorose dove la giovane gestisce una boutique.
Quando arriva il momento del congedo dall’esercito Guido non ci pensa nemmeno a tornare a Torino. In Trieste vede straordinarie opportunità di crescita, per lui e per la città, e si butta a capofitto nell’avventura. In poco tempo il suo nome è ovunque. È nel consiglio d’amministrazione della Banca Commerciale Triestina, rivela le azioni dello Jutificio e del Pastifcio Triestino, aziende che si aggiungono alla sua già lunga collezione: il Pastificio moderno a Zara, un altro pastificio a Milano, l’Amideria Chiozza, un’altra Amideria a Danzica, in Polonia, un catenificio a Lecco e il complesso delle Acciaierie Weissenfels a Fusine. Nel volgere di pochi lustri Guido Segre sarà, fra l’altro, presidente della Direzione di Borsa, delle Officine Navali Triestine, dell’Ampelea, società di distillazione e d’industrie chimiche, dell’Arsa, la società carbonifera in Istria, del Sindacato Industrie estrattive per le Province di Trieste e di Pola e dalla Camera di commercio italo-ungherese.
Come il fratello Arturo, nella scia della tradizione nazionalista e interventista della sua famiglia, Guido è anche un convinto fascista della prima ora (tesserato nel ’22), e nutre, ricambiato, enorme stima e fiducia nei riguardi di Mussolini. L’imprenditore non è certo l’unico ebreo in Italia ad essere iscritto al partito fascista, ma sicuramente è uno dei più vicini al duce, che gli affida incarichi delicati e importanti. Nel 1930 Guido Segre sposa con rito cattolico Gabriella Anna Metz. A officiare il rito è il vescovo di Trieste Luigi Fogar, che allaccia uno stretto legame di amicizia con i Segre (sarà lui, anni dopo, a celebrare a Roma il matrimonio tra la figlia Etta e il marchese Alberto Carignani di Novoli). E sarà proprio l’amicizia con il vescovo Fogar a procurare i primi guai a Guido Segre. Quando nel ’34 Fogar, deciso difensore degli sloveni, viene accusato di essere un antinazionalista e antifascista, Guido Segre scende in campo in sua difesa, attirandosi critiche e antipatie.
Quattro anni dopo, alla proclamazione delle leggi razziali, tutto ciò non sarà dimenticato. Guido, pur essendo sempre stato esponente dell’ebraismo laico non osservante di Trieste (a differenza ad esempio degli Stock), pur essendosi convertito al cattolicesimo, pur avendo italianizzato il cognome della moglie Metz in Melzi, finisce nel vortice della persecuzione razziale. In breve viene allontanato da tutto: cariche, prestigio, potere. Invano implora di essere ”discriminato”, vale a dire – con curiosa inversione del senso comune del termine – riottenere l’equiparazione ai cittadini italiani non-ebrei. Invano bussa alla porta di Mussolini, che non si fa più trovare. Invano si umilia davanti al governo fascista e ai suoi vari attaché, arrivando persino a rinunciare al suo cognome, Segre, stabilendo per via legale che i figli Etta e Carlo portino quello della moglie, Melzi. Invano si affida alle vecchie amicizie influenti, come quella, inossidabile, con Rino Alessi, direttore del quotidiano ”Il Piccolo”.
Per un nazionalista come lui, un eroe del Carso, un uomo abituato a combattere in nome dell’Italia, ma anche a credere nella libertà dell’azione e che tanto ha fatto per Trieste e in nome di Trieste, è un colpo fortissimo. Con la negazione della sua identità, l’umiliazione del non riconoscimento delle proprie conquiste, morali prima ancora che materiali, Guido Segre è distrutto nel corpo e nell’animo, tanto che si ammala di angina pectoris. Così con il falso nome di Giovanni Fabbri, trova rifugio in Vaticano, sotto la fragile protezione di Pio XII, dove fa appena in tempo a vedere gli alleati entrare nella Roma liberata; ma non può più ritornare a Trieste, perché in quel periodo la sua villa di Via Murat, nel centro storico triestino, viene prima sequestrata e occupata dai nazisti delle SS tedesche; poi, durante la guerra è semidistrutta dai bombardamenti. Segre muore a Roma il 12 aprile 1945.