Novant’anni fa a Cavour moriva l’uomo simbolo dell’Italia di inizio Novecento: Giovanni Giolitti
CAVOUR. Giovanni Giolitti, lo statista della Nuova Italia, morì a Cavour (To) il 17 luglio di novant’anni orsono. Alle ore 18 viene ricordato con un minuto di silenzio dinnanzi alla sua tomba, per iniziativa dell’Associazione di Studi Storici Giovanni Giolitti presieduta dal saggista Alessandro Mella.
Nato a Mondovì nel 1842, rimane orfano di padre a un anno d’età. La madre lo porta dalla nonna a Torino nella casa materna. “Gioanin”, come viene chiamato, si laurea a 19 anni in giurisprudenza all’università torinese. È iniziato alla politica da uno dei suoi zii, che era stato deputato nel 1848. Tramite lo stesso zio conosce Cavour, ma non risponde alla chiamata di Vittorio Emanuele II per combattere nella seconda guerra d’indipendenza. Nel 1862 lavora al ministero di Grazia e giustizia, nel 1869 a quello delle Finanze. Nel 1877 viene nominato alla Corte dei conti e nel 1882 al Consiglio di stato. Nel 1882 si candida a deputato ed è eletto. Nel 1889 diventa ministro del Tesoro, ma l’anno successivo si dimette dall’incarico anche perché in disaccordo con la politica coloniale del governo Crispi. Nel 1892, caduto il primo governo Di Rudinì, riceve da re Umberto I l’incarico di formare il suo primo gabinetto.
Il primo governo Giolitti cade dopo poco più di un anno, sia per lo scandalo della Banca Romana, sia per il suo rifiuto di reprimere con la forza le proteste che attraversano il paese. Ritorna al governo nel 1903 con strategie che parevano rivoluzionarie: tolleranza verso gli scioperi, nuove norme a tutela di lavoro, vecchiaia e infortuni. Il suo terzo governo – che inizia nel maggio 1906 – è all’insegna della politica economica intrapresa in passato. Nel 1909 Giolitti lascia che sia nominato primo ministro il conservatore Sonnino, che si dimette dopo soli tre mesi: lo sostituisce il giolittiano Luzzati. Il quarto governo Giolitti dura dal 30 marzo 1911 al 21 marzo 1914. A Giolitti succede Salandra, sotto il quale il paese è coinvolto nella Prima guerra mondiale.
Neutralista, Giolitti resta ai margini della vita politica per il periodo bellico, ma viene chiamato nel giugno 1920 a costituire il suo quinto ministero, in una situazione in cui il durissimo conflitto politico e sociale segna la dissoluzione dello stato liberale, rendendo pressoché inesistenti i margini della tradizionale mediazione giolittiana. Sciolta la Camera il responso delle urne gli è nuovamente avverso e nel giugno 1921 rassegna le dimissioni ponendo termine alla carriera di statista. Come deputato liberale, dal 1924 è all’opposizione del governo Mussolini.
Nel dicembre 1925 il consiglio provinciale di Cuneo, che ad agosto aveva rieletto come di consueto Giolitti alla presidenza, vota una mozione che gli chiede l’adesione al fascismo. Giolitti rassegna quindi le dimissioni sia da presidente sia da consigliere. Nel 1926 e 1927 si apparta sempre più dalla vita politica, anche a causa delle sempre più rade convocazioni della Camera; compie diversi viaggi in Europa. Nel 1928 torna alla Camera per prender la parola contro la legge che di fatto aboliva le elezioni, sostituendole con la ratifica delle nomine governative, contestando che con questo provvedimento il governo si poneva al di fuori dello Statuto.
Colpito da broncopolmonite, muore dopo una settimana di agonia il 17 luglio 1928 all’1.35 del mattino, nella casa di Cavour e viene sepolto nel cimitero comunale. Il nipote Antonio Giolitti, che sarebbe poi diventato partigiano e politico del PCI e del PSI, a proposito delle circostanze della morte del nonno disse: «Andammo, nella casa di Cavour. Lui giaceva su un grande letto di ferro, ci benedisse. Fuori c’era una gazzarra di giovani fascisti che stazionavano sotto le finestra, in attesa: quel vecchiaccio non si decide a morire».