Novembre 1896, il capoluogo piemontese scopre un’arte nuova: il cinematografo
TORINO. Cinquanta secondi, nulla di più. In lontananza, l’arrivo di una locomotiva ripresa dalla banchina di una stazione affollata. Una donna ed una bambina, vestite di tutto punto, osservano la scena, preoccupate di trovare il loro posto sulla carrozza. Un uomo col bastone si avvicina in primo piano, col passo cadenzato nonostante le difficoltà. Numerosi si affrettano intorno al convoglio appena arrivato, alcuni intenti a salire con pesanti valige, altri a scendere, altri ancora aspettano passeggeri del treno in procinto di uscire e noi, spettatori, quasi ci sembra di essere travolti da quella montagna di ruote e metallo, simbolo del progresso che avanza in una modernità meccanica e veloce. Nella sala assieme a noi, alcuni si alzano sospettosi dalle sedie: sembra quasi che il treno voglia uscire dallo schermo ed è meglio non stargli davanti: non si sa mai!
È L’Arrivée d’un train à La Ciotat o, in italiano, “L’arrivo di un treno alla stazione di Ciotat”, uno dei cortometraggi più famosi dei fratelli Lumiere; la nascita, in quegli anni, di uno dei mezzi di comunicazione più sorprendenti degli ultimi secoli, l’illusione della realtà proiettata nei nostri occhi: il cinematografo.
Pochi mesi dopo questa prima proiezione, al Salon indien du Grand Café di Parigi, il cinematografo da la sua comparsa anche a Torino. E’ il 7 novembre 1896 e all’ex Ospizio di Carità in via Po 33, di fronte ad un pubblico scelto, tra i quali anche il sindaco Felice Rignon, per la prima volta compaiono delle immagini in movimento su un lenzuolo. Non stiamo però parlando di uno “spettacolo” nel senso stretto della parola, quanto piuttosto una conferenza, una serata didattica volta a presentare le ultime scoperte nell’ambito della “fotografia animata”. Ad organizzare il tutto è Vittorio Calcina, torinese classe 1867 e rappresentante italiano della Société Anonyme des Plaques et Papiers Photographiques A. Lumière et Ses Fils.
Il successo è determinante; anche Torino ed il suo pubblico si aprono ad uno sfruttamento commerciale del Cinema. Calcina continuerà ad organizzare nei locali dell’ex Ospizio una serie continua di proiezioni: «Via Po 33. Tutti i giorni, sedute serali dalle ore 20 alle 23. Giovedì e giorni festivi, sedute diurne dalle ore 14 alle 18. Ingresso cent. 50. Militari di bassa forza e ragazzi metà prezzo», come si può leggere nel manifesto qui sotto. Spettacoli brevi, parliamo di non più di una ventina di minuti, ma costano poco ed il pubblico accorre, sempre più affascinante da questo strabiliante e nuovo modo di rappresentare ed esprimere l’arte.
Oltre ai film realizzati da Lumière, vengono proiettati anche brevi documentari girati dallo stesso Calcina, come alcune pellicole sulla famiglia reale, di cui sarà il “fotografo ufficiale”: S.M. il Re Umberto e S.M. la Regina Margherita a Monza, Uscita del Corteo Reale od anche Dimostrazione popolare alle LL. AA. i Principi Sposi. Fotografo e accorto “industriale” cinematografico, Calcina non si farà abbattere dalla chiusura della Sala in Via Po nella primavera del 1877, ed anzi trasferirà gli spettacoli alla birreria Sala di Via Garibaldi 10; ormai, il Cinema è parte degli intrattenimenti torinesi della fine del secolo: se ne parla sui giornali, se ne discute per strada e ci si va in famiglia. Sebbene la cultura “ufficialenon sia ancora disposta a trattarlo da suo “pari”, il Cinema fa comunque sentire la sua influenza anche nelle sfere più alte della cultura cittadina dell’epoca, ritagliandosi un posto anche nelle spesso piene sale del Teatro Carignano.
Tra le altre importanti figure che a Torino hanno partecipato alla nascita del Cinema Italiano, è impossibile non spendere almeno qualche parola per Arturo Ambrosio e Roberto Omegna, entrambi piemontesi di nascita, che assieme girarono La prima corsa automobilistica Susa Moncenisio, filmato documentaristico della corsa automobilistica Susa-Moncenisio del 1904 ad oggi tristemente perduto. Un’impresa sicuramente degna di lode, in cui Omegna montò la cinepresa appena acquistata in Francia sulla propria automobile, così da seguire al meglio la vicenda e dando vita ad un primo sistema di camera-car.
Così nasceva il documentario italiano e la prima pellicola di quella che, un anno dopo, nel 1905, avrebbe preso il nome di Ambrosio film.
Mirco Spadaro