Pelassier, un antico mestiere tipico della Valle Maira
Un museo ad Elva, piccolo centro dove si parla l’occitano, ripercorre la storia di questa professione che sino a metà del Novecento praticarono decine di famiglie: foto d’epoca, i ferri del mestiere, testimonianze e perfino i merletti, le gioie, i pizzi, i foulard che erano usati per convincere le donne a privarsi dei loro capelli
ELVA. Nel corso dei secoli, vivere in montagna non è mai stata una cosa semplice. All’inevitabile isolamento invernale sovente si aggiungevano le difficoltà dovute all’andamento stagionale e altri inconvenienti come valanghe, incendi, siccità, epidemie che mettevano a dura prova la vita stessa delle persone che per forza dovevano trovare qualcosa in più che permettesse loro di sopravvivere. In Val Maira, nel vallone di Elva, si sviluppò in passato una strana e singolare occupazione: il mestiere del caviè (pelassier in provenzale) ossia il raccoglitore di capelli che poi venivano utilizzati per confezionare parrucche. Un mestiere praticato ancora fino a metà del secolo scorso.
Il comune di Elva comprende una ventina di borgate poste in quello che fu un ampio anfiteatro glaciale ora ricoperto di boschi e pascoli. Secondo la tradizione quattro uomini, legionari romani o briganti in fuga alla ricerca di un rifugio inaccessibile, sarebbero i mitici fondatori. Il piccolo centro della Valle Maira ha subito, come la gran parte dei comuni montani della zona, un massiccio spopolamento: dai 1300 abitanti dei primi anni del Novecento, si è passati ai meno di 100 di oggi.
Il perché è lo stesso di altre comunità: l’impossibilità di soddisfare le esigenze della popolazione , attraverso l’unico sostentamento montano: le attività agro-pastorali. Non restava che emigrare. Partiva l’uomo adulto e sovente si portava dietro un figlio, già grandicello, destinazione Piemonte o Lombardia, soprattutto la vicina Francia. Privilegiati erano coloro che un mestiere ce l’avevano: arrotini, bottai, cardatori e altri mestieri. Oppure il commercio; significativo quello dei venditori d’acciughe (anciovè). E con esso un mestiere, tutto di Elva, non meno singolare, quello dei caviè o pelassier: i raccoglitori e venditori di capelli.
Le origini del mestiere restano vaghe. Si parla di un soldato, di origini elvesi, che apprese il mestiere sulla fine del 700 a Venezia; altra versione, più plausibile, racconta la storia di un cameriere che a Parigi, nella seconda metà dell’Ottocento, intuì la possibilità della cosa dopo un incontro con acquirenti americani fabbricanti di parrucche. Una volta nato, il mestiere di caviè si affermò e durò sino a poco dopo l’ultimo conflitto mondiale. Il mestiere prevedeva una fase di ricerca (da ottobre a maggio) per paesi e per campagne di donne disponibili a privarsi del taglio della chioma in cambio di un taglio di stoffa. Si andava anche all’estero: Francia, Spagna, persino nei Paesi del Nord Europa. I lunghi tratti di viaggio era percorsi in treno e poi, a piedi, si setacciava il territorio, palmo a palmo. Sacchi di iuta servivano a raccogliere i capelli, mentre un altro sacco conteneva i tagli in stoffa da offrire in contropartita. Durante la stagione un caviè metteva insieme, mediamente, dai 50 agli 80 chilogrammi di capelli.
Unità di misura il peso, salvo i casi di trecce di particolare lunghezza che venivano acquistati a prezzi decisamente più alti. Così facendo ne derivò una nuova attività, di tipo artigianale. Tutto Elva divenne un vero e proprio laboratorio coinvolgendo pure coloro che restavano al paese, le donne soprattutto. Nei laboratori familiari i capelli venivano pettinati e suddivisi a seconda di colorazione, lunghezza e finezza. A lavorazione terminata, le file di trecce venivano spedite ai grossisti, che ne ricavavano le pregiate parrucche vendute ai lord e alle dame aristocratiche d’Europa.
Secondo una stima, negli anni venti e trenta del secolo passato, su un migliaio di abitanti la metà erano occupati nella lavorazione del capello. Molti abbandonata l’agricoltura trasferirono il loro laboratorio a Dronero o a Saluzzo. Qualcuno, addirittura, arrivò ai vertici del processo produttivo diventando persino fabbricante di parrucche. All’indomani della Seconda guerra mondiale il mestiere di pelassier si è via via estinto, anche se in Valle Maira il ricordo resta ancor oggi vivo. E a testimoniarlo è il Museo dei Pels ospitato nell’ottocentesca casa della meridiana. All’interno è stato raccolto il materiale storico fornito dagli abitanti di Elva: foto d’epoca, i ferri del mestiere, le testimonianze raccolte direttamente dai pelassier, perfino i merletti, le gioie, i pizzi e i foulard che erano usati per convincere le donne al baratto. Il museo comprende anche la visione di uno splendido documentario di Fredo Valla intitolato “La strada dei capelli”.
Piero Abrate