TORINO. Il capoluogo piemontese e il suo hinterland detengono da oltre un secolo il primato delle industrie del caffè. Torrefazioni grandi e piccole, alcune delle quali, con la loro secolare esperienza, hanno saputo imporsi nel mondo, selezionando esclusive miscele, in grado di catturare i palati più esigenti degli estimatori di una bevanda tra le più amate in assoluto: il caffè. Maestri torrefattori, che hanno saputo, con le loro tecniche di tostatura “all’italiana” (anzi: “alla torinese”), ottenere caffè dal gusto e dall’aroma inimitabile.
Nell’era della globalizzazione, con poche eccezioni (com’è il caso della Lavazza, che difende a oltranza la storica torinesità dell’azienda, ed è sorda ad ogni eventuale sirena ammaliatrice di qualsivoglia acquisto straniero, ed anzi si preoccupa di acquisire essa stessa i marchi d’oltralpe) il rischio è che le imprese italiane, soprattutto quando vivono momenti di congiuntura non troppo favorevole, possano essere assorbite a poco prezzo da imprenditori senza scrupoli di altri Paesi. È il caso, ad esempio, degli stabilimenti di Andezeno, dove si producono da anni i nobili caffè con i notissimi marchi Hag (leader del caffè decaffeinato) e Caffè Splendid, ora di proprietà della multinazionale olandese Jacobs Douwe Egbert.
Lo stabilimento piemontese dà lavoro a quasi 60 dipendenti, che però rischiano fortemente di essere lasciati a casa per sempre. Il 2 ottobre scorso, i lavoratori Hag e Splendid si sono dati appuntamento a Torino, davanti alla sede del Palazzo della Regione, per offrire ai passanti un caffè fatto sul posto con delle piccole moka, nonché per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla precaria situazione della loro azienda e del loro posto di lavoro. Un tentativo in extremis per evitare l’ennesimo caso di arroganza di chi pensa di mettere le mani sui marchi d’eccellenza del made in Italy, per poi lasciare, alla prima difficoltà, in mezzo alla strada i lavoratori e gettare in miseria le loro famiglie, senza farsene scrupolo.
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