Il Piemontese: Dialetto o Lingua? Questione di sostanza o questione di lana caprina?
Un articolo bilingue (italiano-piemontese) di Sergio Donna
Che il Piemontese sia una Lingua e non un Dialetto non lo dico io, ma i più autorevoli glottologi di ogni parte del mondo. Lo sostiene anche l’Unesco, che considera il Piemontese una Lingua, per quanto in pericolo di estinzione, benché sia ancora parlata da quasi due milioni di persone in Piemonte, e compresa da poco meno di tre milioni di individui. Eppure c’è ancora chi continua a domandarsi se il Piemontese sia una Lingua o un Dialetto, come se fosse una questione non ancora risolta, benché questo argomento sia già stato più volte approfondito, dibattuto e chiarito.
C’è anche chi, da un po’ di tempo a questa parte, tende a non dare troppa importanza alla differenza che passa tra una Lingua e un Dialetto, perché a suo dire, nel definire Dialetti certe parlate locali non si negherebbe a priori a ciascuna di esse né l’essenza né il rango di Lingua, dal momento che tutti i Dialetti in fondo sono delle Lingue, per quanto diffuse e comprese in zone circoscritte.
Così leggiamo sulla Treccani: “dialètto s. m. [dal lat. tardo dialectos, femm., gr. διάλεκτος «lingua», der. di διαλέγομαι «parlare, conversare»]. – Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato, che non ha raggiunto o che ha perduto autonomia e prestigio in confronto ad un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale”.
Dunque (e non solo secondo me) una differenza tra Lingua e Dialetto c’è ed è allora molto importante evitare di confondere i due vocaboli. È una differenza culturale, sociale e politica, non solo linguistica o geografica. Io ho un grande rispetto per il termine Dialetto, e mi ribello con tutta la mia forza quando questa parola viene usata in senso negativo, per definire una lingua di serie B, col presupposto che sia ritenuta volgare o perché stride con la “nobilità” (tra virgolette) della Lingua dominante.
A mio modesto avviso, un idioma, indipendentemente dall’area della sua diffusione, è da considerarsi “Lingua” quando diventa strumento consolidato e codificato d’espressione e di comunicazione, usato dagli appartenenti di una medesima comunità (o meglio: da chi di quella stessa comunità si sente membro, per ragioni culturali, sociali, di nascita o di adozione). Strumento di espressione e comunicazione orale, certo, ma che pure si avvale della forma scritta, producendo opere degne di una rispettabile Letteratura, con una scrittura normalizzata nel tempo, che dispone di un lessico, di una grammatica, di una sintassi e di una grafia condivisa.
Un Dialetto è una variante locale di una Lingua nazionale o regionale: come il Toscano, per esempio, o il Romanesco lo sono nei confronti dell’Italiano, così come l’Astigiano d’Alta Langa o il Biellese lo sono nei confronti della Lingua piemontese di koiné (quella letteraria di riferimento, che pur comprende tutte le nuances e tutte le varianti locali, che si mescolano tra loro e arricchiscono il Vocabolario), koiné che ha una sua Grammatica, una sua Sintassi, una sua Grafia e un Lessico che ritroviamo in decine di Dizionari.
La differenza c’è ed è alquanto marcata. Il Piemontese non è un Dialetto dell’Italiano, come non è un Dialetto francese o una variante delle parlate occitane e franco-provenzali. È una Lingua romanza a sè stante, cioè figlia del Latino, cugina dell’Italiano e del Francese (così come sono cugini tra di loro lo Spagnolo e il Portoghese, o lo sono il Tedesco e l’Olandese, per quanto facciano parte di un altro ramo linguistico). È una Lingua, non solo perché lo dicono i filologi e l’Unesco, ma soprattutto perché il Piemontese vanta un fior fiore di Letteratura plurisecolare, brillante e ricca di magnifiche voci poetiche e in prosa.
Ma anche perché ha una sua grammatica e una grafia che consente di scriverlo in tutte le sue varianti sub-regionali (dal novarese al monferrino, dal monregalese al vercellese e così via). La parola “Dialetto”, di per sé, è una parola magnifica. Abbiamo già ricordato che il vocabolo deriva dal Greco, e vuol dire “Lingua”, di cui può essere considerato “quasi” un sinonimo. I Dialetti sono perle di ricchezza per il patrimonio linguistico nazionale o regionale: sono le tessere colorate e luccicanti di uno stesso mosaico culturale.
C’è anche chi distingue tra Poesia in Dialetto (poesia d’alto registro, con la P maiuscola) e poesia dialettale (poesia di circostanza, giandujesca, di scarso valore). Ma la parola Dialetto e l’aggettivo dialettale bisogna usarli con prudenza. Almeno per quanto concerne il Piemontese, io preferisco l’espressione Poesia in Lingua piemontese: il problema è un falso problema, perché i versi di circostanza e di bassa tacca, privi di stile, armonia, prosodia e sentimento, non sono mai Poesia, in qualsiasi Lingua o Dialetto vengano scritti.
A me dà sui nervi ascoltare la parola Dialetto da chi la usa con pregiudizio, dando a questo termine un registro negativo, con un tono di supponenza e disprezzo: come se fosse un qualcosa di cui vergognarsi, e che dev’essere nascosto, come la polvere sotto i tappeti, perché disturba la cultura dominante, che la fa da padrona. Niente di più falso e offensivo. I Dialetti sono l’esempio più spontaneo della libertà d’espressione, e rappresentano il veicolo più diretto per esprimere i sentimenti, le emozioni, le gioie e le sofferenze che portiamo nei cuori, e per comunicarle agli altri membri della comunità.
Visti i pregiudizi che gravano ancora troppo spesso sui Dialetti, è evidente che una Lingua, se come tale un idioma viene riconosciuto dalle Istituzioni e dal Potere, ha molte più chances per essere difesa, tutelata e tenuta viva.
Uomini della Politica, datevi una scossa! Uomini di Cultura, intervenite! Prendiamo esempio dai nostri cugini Piemontesi d’Argentina che stanno laggiù da quattro o cinque generazioni e ancora parlano il Piemontese dei loro padri, dei loro nonni, dei loro bisavoli, e lo studiano e lo scrivono. Prendiamo esempio dalle decine di Associazioni Piemontesi d’Argentina che hanno fatto gruppo, tutte riunite saldamente insieme, ed hanno ottenuto dalle Amministrazioni locali per la Lingua (Lingua!) Piemontese il riconoscimento di “Patrimonio Culturale Immateriale”: un tesoro prezioso da difendere, da mantenere e da tramandare alle generazioni future.
In verità c’è da dire che da qualche tempo in qua le Lingue locali e i Dialetti sono tornate ad attirare l’attenzione dell’Editoria nazionale, sia per la Prosa che per la Poesia. Gli Editori Il Mulino e Carocci, per esempio, hanno recentemente pubblicato una collana dedicata alla Poesia e alla Prosa nei diversi Dialetti e nelle varie Lingue regionali della Penisola. Forse qualcosa inizia di nuovo a muoversi: forse le Case Editrici cominciano a capire che le Lingue locali parlano con le parole della realtà, anche se spesso sono un po’ ruvide, ma senz’altro schiette e immediate.
D’altronde non mancano i Poeti e gli Scrittori che al giorno d’oggi scrivono in un Piemontese d’alto registro, degno di una Letteratura affascinante, come dimostrano le recenti Antologie pubblicate dal Centro Studi Piemontesi (“Poeti in Piemontese dal Novecento ai giorni nostri”, curata da Giovanni Tesio e Albina Malerba) e da Carabba Editore (“Nonostante il crepuscolo, Voci contemporanee della Poesia in Lingua piemontese”, curata da Remigio Bertolino e Nicola Duberti).
Perché tanti continuano, non solo a parlare, ma anche a scrivere in Piemontese? Parafrasando Giovanni Tesio, possiamo dire che tutto ciò nasce “da un bisogno di trasparenza che esce da un fondo torbido di marginalità”. Del resto, come sostiene il linguista Lorenzo Tomasin, “il Dialetto (nel senso nobile del termine) non è un Italiano sbagliato, ma eredità diretta dell’antichità”.
E allora? Viva la Lingua Piemontese e viva tutti i suoi Dialetti! Viva tutte le Lingue regionali e quelle di minoranza, d’Italia e d’Europa, con tutte le loro varianti e sfumature locali.
(Sergio Donna | 13 Gennaio 2025)
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Piemontèis: Dialèt o Lenga? Question ëd sust o question ëd lan-a ciavrin-a?
Che ‘l Piemontèis a sia na Lenga e nen un Dialèt i lo diso nen mi, ma ij pì autorévoj glotòlogh ëd minca part dël mond. A lo sosten ëdcò l’Unesco, ch’a considera ‘l Piemontèis na Lenga, combin ch’a sia an perìcol d’estinsion, contut che a sia ancora parlà da scasi doi milion ëd person-e an Piemont, e capìa da tre milion ëd përson-e apeupré. Epura a-i é chi a continua a a domandesse se ‘l Piemontèis a sia na Lenga o s’a sia ‘n Dialèt, coma sa fussa na question ancor nen risolvùa, combin che i l’oma già avù ocasion ëd parlene milanta vòlte.
A-i é ‘dcò chi, da ‘n pò ‘d temp a sta part, a mira a dé nen tròpa amportansa a la diferensa ch’a passa tra na Lenga e ‘n Dialèt, përchè second chiel, an definend Dialèt le parlade locaj, as negherìa nen a minca Dialèt l’implìcita essensa e ‘l rangh ëd Lenga, dël moment che tuti ij Dialèt an fond a son ëd Lenghe, visadì ‘d “parlade”, combin ch’a sio parlà e capìe an zòne circonscrite.
Sla Treccani i lesoma: “dialètto s. m. [dal lat. tardo dialectos, femm., gr. διάλεκτος «lingua», der. di διαλέγομαι «parlare, conversare»]. – Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato, che non ha raggiunto o che ha perduto autonomia e prestigio in confronto ad un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale”.
Second mi na diferensa tra Lenga e Dialèt a-i é, e a l’é motobin amportant nen confonde ij doi vocaboj. La diferensa a l’é coltural, social e politica, nen mach lenghìstica o geogràfica. Mi i l’hai un gran rispet për la paròla Dialèt (e për tuti ij Dialèt) e i m’arviro con tuta mia fòrsa quand che la paròla a ven dovrà an sens negativ, për definì an langage ‘d serie B, volgar, ch’a sgògna con la “nobiltà” (tra virgolëtte) dla Lenga dominanta.
A mia opinion, na parlada, indipendentement da l’àrea ‘d soa difusion, a l’é da consideresse “Lenga” quand che a dventa në strument codificà d’espression e ‘d comunicassion, dovrà da j’apartenent ëd na midema comunità (o mej: da chi ëd cola comunità as sent mémber, për rason colturaj, sociaj, ëd nàssita o d’adossion). Espression e comunicassion a vos, sicura, ma ‘dcò a travers la scritura, normalisà ant ij temp con l’us d’un léssich, ëd na gramàtica, na grafìa arconossùa e con na Literatura e na Stòria comun-a. Un “Dialèt” a l’é na varianta local ëd na Lenga nassional o regional: come ‘l Toscan, për esempi, o ‘l Romanesch, a lo son an confront ëd l’Italian, o l’Astesan d’Àuta Langa o ‘l Bielèis a lo son për la Lenga piemontèisa dla koiné (cola literaria ‘d riferiment, che a comprend tute le nuanse e le variant locaj dij vocàboj, che as mës-cio tra ‘d lor e a ‘nrichisso ij Vocabolari), koiné ch’a l’ha na soa gramatica, na soa sintassi, na soa grafìa e ‘n léssich che a l’é contnù an desen-e ‘d Dissiorari.
La diferensa a-i é e a l’é motobin marcà. Ël Piemontèis a l’é nen un Dialèt ëd l’Italian, come a l’é nen un Dialèt fransèis o dle parlade ossitan-e e franch-provensaj. A l’é na Lenga romanza, visadì fija dël Latin, cusin-a dl’Italian e dël Fransèis (così come a son cusin tra ‘d lor lë Spagneul e ‘l Portoghèis, o cusin a son tra ‘d lor l’Alman e l’Olandèis, combin ch’a fan part ëd n’àutra branca lenghìstica). A l’é na Lenga, nen mach përchè a lo diso i filòlogh e l’Unesco, ma dzortut përchè ël Piemontèis a l’ha na fior ëd Literatura brilianta, rica ‘d magnìfiche vos poétiche e an pròsa. Ma ‘dcò përchè a l’ha na soa gramàtica e na grafìa ch’a consent dë scrivlo an tute soe variant sub-regionaj (dal novarèis al monfrin, dal monregalèis al verslèis, e via fòrt).
La paròla “Dialèt”, daspërchila, a l’é na paròla magnìfica. I l’oma già dit che ‘l vocàbol a deriva dal Grech, e a veul dì “Lenga”, dont a peul esse considerà “scasi” un sinònim. Ij Dialèt a son le përlin-e dël patrimòni lenghìstich nassional; a son le tesserin-e colorà e bërlusente d’un midem mosàich coltural.
A-i é ‘dcò chi a dëssern tra la Poesìa an Dialèt (poesìa d’àut registr, con la P maiùscola) e la poesìa dialetal (poesìa ëd circostansa, legera, birichinòira, dë scars valor). Ma la paròla Dialèt e l’agetiv dialetal a venta fé atension a dovreje. Almeno për lòn ch’a riguarda ël Piemontèis, mi i preferisso l’espression Poesìa an Lenga piemontèisa: ël problema a l’é ‘n fàuss problema, përchè ij vers ëd circostansa, campà giù sensa sust, basta ch’a sìa, sensa armonìa, stil e sentiment, a son pa ‘d Poesìa, an qualsëssìa Lenga o Dialèt ch’a ven-o scrivù.
A mi, am dà sij nerv ëscoté la paròla Dialèt da chi a la dovra con pregiudissi, dand a cost termo un registr negativ, con un gest ëd superbia e ‘d dëspressi: come s’a fussa quaicòs ch’a deuv essé stërmà, come la pòver da sconde sota ij tapiss, përchè ch’a sgògna con la coltura dominanta, cola ch’a la fà da padron-a. Gnente ‘d pì fàuss e ofensiv. Ij Dialèt a son l’esempi pì genit ëd la libertà d’espression, e a son la manera direta për esprime ij sentiment, le emossion, le gòj e le soferense ch’i portoma ant ij cheur, për spantieje con j’àutri apartenent a la midema comunità.
Con tuti sti pregiudissi ancora tròp ëspantià sij Dialèt, a l’é evident che na Lenga, se parèj na ‘parlada’ a ven arconossùa da le Istitussion e dal Podèj, a l’ha motobin pì ‘d possibilità e oportunità d’esse difèisa e tnùa viva.
Òm ëd la Polìtica, deve n’andi! Òm ëd la Cultura, deve n’ardriss! Pijoma esempi dai nòstri cusin Piemontèis d’Argentin-a, ch’a son là già da quatr o sinch generassion e che ancora a parlo ‘l Piemontèis dij sò cé, e a lo studio e a lo scrivo. Pijoma esempi da le desen-e d’Asociaciones Piemontesas d’Argentin-a che a son butasse ‘nsema, formand ‘n grup satì, e a l’han otenù da le Aministrassion locaj për la Lenga (la Lenga!) Piemontèisa l’arconossiment ëd “Patrimòni cultural imaterial”: un tesor pressios da difende, da manten-e e da tramandé a le generassion ch’a vniran.
An vrità, a venta dì che da quàich temp a sta part le Lenghe locaj e ij Dialèt a torno a tiré l’atension dl’Editorìa nassional, da la Pròsa a la Poesia. J’Editor Il Mulino e Carocci, për esempi, a l’han publicà recentement na colan-a dedicà a la poesìa e a la pròsa ant ij divers Dialèt e Lenghe regionaj ëd la Penìsola. Fòrse quaicòs a ‘ncamin-a a bogesse: miraco le Ca Editris a ‘ncamin-o a capì che le Lenghe regionaj a parlo con le paròle dla realtà, sovens pì grotolùe, ma s-cete e direte.
D’àutra part a manco nen nì poeta e nì scritor che al di d’ancheuj a scrivo ant un Piemontèis con un registr àut, degn ëd la pì ciarmanta Literatura regional, com a dimostro le recente Antologìe publicà da la Ca dëd Studi (“Poeti in Piemontese dal Novecento ai giorni nostri”, euvra cudìa da Giovanni Tesio e Albina Malerba) e da Carabba Editore (“Nonostante il crepuscolo, Voci contemporanee della Poesia in Lingua piemontese”, euvra cudìa da Remis Bertolin e Nicòla Duberti).
Përchè tanti a continuo, nen mach a parlé, ma ‘dcò a scrive an Piemontèis? Come a dis Giovanni Tesio, tut sòn a nas “da në bzògn ëd trasparensa ch’a seurt da ‘n fond tërbol ëd marginalità”. Dël rest, come a sosten ël lenghista Lorenzo Tomasin, “ël Dialèt (ant ël sens nòbil dël termo) a l’é nen Italian ësbalià, ma ardità direta dl’antichità”.
E antlora? Viva la Lenga Piemontèisa e viva tuti ij sò Dialèt! Viva tute le Lenghe regionaj e cole ‘d minoransa, d’Italia e d’Euròpa, con tute soe variant e nuanse locaj.
(Sergio Donna | 13 Gené 2025)