Quando “Marìa Catlin-a” venne eseguita come Inno Nazionale dello Stato Sabaudo
A intonarla in Crimea nell’agosto del 1855, dopo la vittoriosa battaglia della Cernaia, furono alcuni ufficiali piemontesi
Pubblichiamo un’intervista a Sandra Mascarello, la “danseura” capo-fila del Gruppo di Danze Popolari Piemontesi “Ij Danseur dël Pilon”, che fa capo a Piemonte Cultura, Associazione APS molto attiva sul territorio.
D. Signora Sandra, una delle caratteristiche dei componenti del vostro Gruppo di Danze, sia maschili che femminili, è quel sorriso solare che vi contraddistingue, che è la prova concreta della gioia coinvolgente dei vostri balli. Il vostro repertorio è vastissimo e attinge dalla tradizione e dalla storia. C’è una relazione tra le danze popolari e il ciclo delle stagioni?
R. Le danze popolari scandiscono da sempre il ciclo delle stagioni: sono l’eco musicale e coreutico delle date topiche dell’almanacco, delle fasi lunari, delle feste patronali e delle festività religiose e civili che si susseguono nel calendario liturgico. Sono la valvola di sfogo alla fatica del lavoro nei campi; ma anche lo specchio della gioia per la raccolta del grano, per l’inizio di una nuova stagione agraria: un’occasione imperdibile per godere dei momenti di festa che segnano il percorso della vita familiare. Come la nascita di un figlio, un matrimonio, le rimpatriate dei coscritti sull’aia, e così via. Le danze sono sempre coinvolgenti e sono un magnete sociale per la comunità di una valle, di un borgo, di un quartiere, che unisce e cementa i rapporti tra coloro che condividono una cultura comune e si identificano in una stessa koiné linguistica, nelle stesse radici, nelle stesse tradizioni, negli stessi valori.
D. Neppure la Monferrina (meglio nota come ‘Òh ciàu ciàu Marìa Catlin-a’) si sottrae a queste premesse…
R. Devo dire che la Monferrina si balla un po’ in tutte le stagioni, ma soprattutto d’inverno perché è una danza energica ed… energetica, che aiuta sicuramente a combattere i rigori del freddo. A proposito di questo brano (raccolto da Costantino Nigra e ritrascritto più recentemente da Leone Sinigaglia), non è certa la data di origine. Però sappiamo che ebbe un momento di celebrità dopo la Battaglia della Cernaia in Crimea. Com’è noto, nel 1855 Cavour non si tirò indietro quando Francia e Inghilterra, impegnate in Crimea, chiesero al Piemonte un aiuto militare. Il piccolo ma battagliero Stato sabaudo aveva bisogno di riscattarsi di fronte all’opinione pubblica internazionale dopo la débacle della Bicocca (battaglia di Novara del 1849) e inviò sul Mar Nero un corpo di spedizione di circa 15.000 uomini. Cavour aveva intuito che, in caso di vittoria, il contributo dell’Esercito Sardo sarebbe stato ripagato con un prezioso sostegno militare a favore del Piemonte nella ripresa delle ostilità con l’Austria. I Piemontesi si distinsero in battaglia per l’efficienza delle manovre, per la disciplina tra le linee, per la perfetta organizzazione logistica e in particolare per l’eroico comportamento tenuto dai Bersaglieri nella Battaglia della Cernaia.
E dopo la vittoriosa battaglia, venne il momento dei festeggiamenti. Gli ufficiali alleati invitarono a pranzo gli Ufficiali russi fatti prigionieri. Le sobrie ma invitanti portate furono accompagnate da vini francesi, piemontesi e di Crimea. A fine pranzo fu concesso agli ufficiali russi di intonare l’Inno alla Zar, che fu ascoltato in piedi e con rispetto da tutti gli ufficiali delle “Truppe Alleate”. Gli Inglesi intonarono a loro volta “God save the Queen” e i Francesi la “Marsigliese”. Gli ufficiali piemontesi furono presi in contropiede, perché il Regno di Sardegna non aveva ancora un proprio inno ufficiale. Per fortuna fu un ufficiale langarolo di Monforte d’Alba, tal maggiore Martina, a rompere prontamente l’imbarazzo e ad intonare seraficamente il brano “Òh ciàu ciàu Marìa Catlin-a”. L’esecuzione fu lenta e solenne: quella melodia fu ritenuta verosimilmente da tutti gli ufficiali delle altre nazioni come l’autentico Inno Piemontese, e fu ascoltata da tutti in piedi, sull’attenti, con rispetto e raccoglimento.
D. Perché il maggiore Martina scelse proprio questa canzone?
R. Perché era conosciutissima da tutti i militari dell’esercito Piemontese. La figura di “Catlin-a” nella tradizione popolare piemontese (e non solo) si identifica con la Morte, ovvero con uno scheletro. Del resto, anche nell’iconografia medioevale la “Grande Mietitrice” è spesso raffigurata come un’oscura e ossuta figura che con la falce in mano accompagna danzando le anime dei trapassati nel macabro viaggio verso l’Aldilà. E c’è anche un legame etimologico. Il nome Caterina (Catlin-a) deriva dalla mitologica dea Ecate, che poi è la la dea dell’Oscurità e della Magia. I primi versi del canto “Òh ciàu ciàu Marìa Catlin-a, dommie, dommie ’na siassà” in realtà, più che ad una effettiva ed energica setacciata, si riferirebbero ad una “falciata” metaforica: riferimento criptico che troverebbe una conferma nell’assonanza con i termini “sessa” o“sìa” usati in alcune vallate e zone alpine del Piemonte per indicare la falce, che in pianura è più diffusamente chiamata “ranza”. Fuor di metafora, la Morte con la sua falce è in continua ricerca di nuove vittime cui falciare la vita. E allora, come difendersi? Facendola danzare. Finché la Morte danza (soprattutto se a l’ha lassà la siass a ca, cioè la falce, secondo l’interpratazione di alcuni) non può nuocere a nessuno. Di qui il canto di questo brano come “rito apotropaico”, cioè come espediente per scongiurare la Morte e allontanarla da sé. Ecco perché “Marìa Catlin-a” è un canto molto diffuso tra i soldati: evocarla nel canto, significa esorcizzarla e allontanare la paura di morire negli scontri corpo a corpo, come nelle trincee.
Grazie mille Sandra per averci insegnato che il ballo non è solo festosa aggregazione: dalle danze popolari e tradizionali si può conoscere e approfondire la Storia e scoprire l’affascinante cultura che affonda nelle nostre radici.
Nota del Redattore: alcuni passi dell’intervista sono tratti da: Rinaldo Doro, Le Monferrine di Cogne, Antiche Danze ai piedi del Gran Paradiso, Atene del Canavese, o da altri testi di Rinaldo Doro e di altri Autori: Franca e Vladi Orengo (Il Romanzo del Canto Popolare Piemontese), il prof. Daniel Ross, ed altri ancora. A questi interessanti testi e Autori rinviamo il Lettore che volesse approfondire l’argomento.