Quella lapide in lingua piemontese di via Principe Amedeo 41…
Si tratta di una delle rarissime epigrafi in lingua piemontese presenti sui palazzi di Torino ed è dedicata al poeta Edoardo Ignazio Calvo, una delle voci più interessanti della letteratura piemontese a cavallo tra Settecento e Ottocento
TORINO. In via Principe Amedeo, al civico 41, c’è una lapide che ricorda il poeta torinese Edoardo Ignazio Calvo, che risiedeva appunto in questo vecchio edificio del centro storico. È una delle pochissime lapidi in lingua piemontese. Fu apposta a cura della Ca dë Studi Piemontèis nel 1973, per commemorare il secondo centenario della nascita del poeta.
Così recita l’epigrafe:
“Ël poeta piemontèis
EDOARD CALVO,
l’autor ëd le ‘Fàule moraj’,
mòrt a a Turin ant ël 1804
a l’é nà ant ësta ca sì
ël 13 d’Otóber 1773.
Ant lë scond sentenari dla nassita”
La Ca dë Studi Piemontèis
Camillo Brero, il compianto poeta piemontese recentemente scomparso, definì Edoardo Ignazio Calvo “il primo vero grande poeta della Storia della moderna Letteratura piemontese”. La sua poesia, alimentata da aneliti di libertà, fraternità ed uguaglianza, spicca infatti per originalità stilistica, intensità e vigore tra la coeva produzione poetica regionale sul finire del Settecento e agli albori dell’Ottocento.
Edoardo Ignazio Calvo, torinese, nacque il 10 Ottobre del 1773. Laureatosi in medicina nell’Ateneo di Torino, morì l’11 Maggio 1804, vittima del tifo, che contrasse tra i suoi stessi pazienti che stava curando in ospedale, dando prova concreta di fraterna solidarietà e ammirevole dedizione professionale fino all’ultimo respiro.
Le sue opere (in gran parte in lingua piemontese, ma non solo) furono scritte soprattutto nel quinquennio compreso tra il 1799 e la sua prematura scomparsa. Da esse traspare un idealismo pulito e puro, mirante alla creazione dell’uomo nuovo del diciannovesimo secolo, veramente libero e democratico, affrancato da ogni ingiustizia sociale e da ogni assolutismo politico. Il disappunto per l’evolvere delle vicende politiche lo indusse ben presto ad abbandonare i primordiali ideali giacobini per abbracciare vibranti posizioni decisamente antibonapartiste.
La lingua piemontese diventò per lui veicolo di anticonformismo, contestazione e cassa di risonanza di ogni inaccettabile sopruso sociale: una lingua ideale per accentuare la severità dei suoi versi e moltiplicare l’efficacia della sua ribellione.
Per dirla ancora con Camillo Brero, la poesia di Edoardo Ignazio Calvo è “potenza ed efficacia, strumento della sua passione offesa, sferzante contro il malgoverno francese, traditore degli ideali repubblicani, contro la malafede e la corruzione politica”.
Calvo fu un cantautore ante litteram di canzoni di protesta, come Passapòrt dj’Aristocrat e Campan-a a martel pr’ij Piemontèis, in cui freme e ribolle il suo spirito di arvira (ribellione) che sprona i Piemontesi a scuotersi di dosso il giogo dell’assolutismo aristocratico.
Tra le sue opere più note, ricordiamo le Folìe religiose, poema in ottonari rimati, in cui Calvo invita i Piemontesi a risvegliare le loro menti dall’infausto letargo, alimentato dal fanatismo religioso. E ancora: l’ode Su la vita ’d campagna e, soprattutto, le Fàvole moraj, unanimemente considerate come il suo capolavoro poetico.
Chiudiamo questo articolo con alcuni versi di Calvo, tratti dall’incipit dell’ode Le sansùe e ‘l bòrgno, dove le sansùe sono la metafora dell’occupante francese, accolto dapprima come un liberatore, ma rivelatosi ben presto insaziabile sanguisuga di libertà e di risorse:
A l’era ant la stagion che ’l sol bujent
a brusa la sicòria e ij barbaboch,
e tuti a scapo a l’ombra e serco ’l vent.
Un pòver bòrgno vej e pataloch,
nojà dal gran calor e tormentà
dal mosche e dai tavan, tut a tatoch
andava apress-disné daré ’d soa ca,
dov j’era na bialera e ’n sit ombros,
e là së strojassava e pijava’d fià…
Edoardo Ignazio Calvo: un poeta torinese che vale davvero la pena di riscoprire.