Quella lapide in piazza Vittorio dedicata a Giovanni Prati
Vissuto molti anni a Torino, il poeta trentino volle essere sepolto nella città subalpina che tanto amava. Con Cavour, d’Azeglio, Rattazzi e Casati, fu un assiduo frequentatore dello storico Caffè Fiorio di Via Po
Lo sapevate che il saggista, critico, storico, poeta, scrittore, patriota e uomo politico Giovanni Prati (1814 | 1884) è vissuto lungamente a Torino? Lo conferma la lapide affissa sulla facciata di un palazzo di Piazza Vittorio Veneto, al civico 23, quasi all’angolo con il Lungo Po Luigi Cadorna. Si tratta di una lastra di marmo bianco, con screziature ambrate, la cui epigrafe, un po’ sbiadita, recita così:
“In questa casa abitò lungamente / GIOVANNI PRATI / poeta del Risorgimento italiano / nato a Dasindo il 27 gennaio 1814, / morto il 9 maggio 1884 a Roma, / nel sogno luminoso avverato / dell’Italia riunita / sotto il Regno sabaudo”
Fu infatti proprio in quel palazzo di Piazza Vittorio che risiedette il poeta durante gli anni del suo prolungato soggiorno torinese.
Giovanni Prati si formò nel Liceo Classico di Trento, che poi ‒ dal 1919 ‒ gli fu intitolato. Studiò legge a Padova, ma si dedicò presto alla letteratura e alla poesia. Nel 1834 sposò Elisa Bassi: dal loro matrimonio nacque una figlia. Dopo soli sei anni, Prati perse la moglie: il dolore per la scomparsa dell’amata consorte e l’intenso affetto per la figlia furono alla base dell’ispirazione di molte sue liriche.
Nel 1836, pubblicò la sua prima raccolta, Poesie. Nel 1841 si trasferì Milano, ove entrò in contatto con Alessandro Manzoni, e pubblicò l’Edmenegarda, una novella romantica che ottenne un grande successo. Nel 1843 fu la volta dei Canti lirici, una raccolta di ballate e di canti popolari; e nel 1844, di Memorie e lacrime e di Nuovi canti. Tra il 1845 ed il 1848, soggiornò a Padova, a Venezia e a Firenze. In queste città, si fece sostenitore di re Carlo Alberto, identificandolo come il modello di principe liberale che avrebbe potuto realizzare l’ideale unitario.
Dopo la sconfitta della Prima Guerra d’Indipendenza e l’esilio di Carlo Alberto, gli Austriaci lo espulsero dal Lombardo Veneto, mentre il governo di Firenze del Granducato di Toscana gli rifiutò l’asilo politico. Esule, non gli rimase che trasferirsi a Torino. Il nuovo re Vittorio Emanuele II premiò la sua fedeltà alla monarchia sabauda con la nomina a Storiografo della Corona. Nel 1851 sposò in seconde nozze l’attrice drammatica Lucia Arnaudon. Nel 1855 compose Satana e le Grazie. Nel 1861, con Torino diventata capitale del Regno d’Italia, venne eletto Deputato (VIII Legislatura).
Giovanni Prati divenne un avventore habitué del Caffè Fiorio di Via Po, frequentato anche da tanti altri letterati e uomini di stato, come Camillo Benso conte di Cavour (allora capo del Governo), Massimo D’Azeglio, Urbano Rattazzi, Gabrio Casati: lì si discuteva di politica e di letteratura e dei destini della Nazione appena ricomposta.
Nel 1865, con il trasferimento della capitale, sempre in veste di Deputato, Prati si trasferì a Firenze, dove entrò in contatto con Mario Rapisardi, Nicolò Tommaseo, Atto Vannucci, Pietro Fanfani, Arnaldo Fusinato, Francesco Dall’Ongaro, Terenzio Mamiani ed altri letterati e intellettuali. L’attività politica intensa non gli impedì tuttavia di dedicarsi alla sua passione letteraria.
È di questo periodo, ad esempio, la pubblicazione di Armando (1868). Nel 1871 si trasferì a Roma, divenuta capitale d’Italia. Nel 1876 divenne Senatore nel primo Governo Depretis (XIII Legislatura del Regno d’Italia).
Nel 1878 divenne membro del Ministero della Pubblica Istruzione. Sempre nel 1878, Prati fu nominato direttore dell’Istituto Superiore di Magistero, istituito da Francesco De Sanctis, allora Ministro dell’Istruzione (primo Governo Cairoli). Durante il periodo romano, la sua produzione letteraria continuò con la pubblicazione di Psiche (1876), Eros (1878) e i Canti di Iside (1878). Nella sua ultima opera, i Canti di Iside, l’Autore sembra chiudersi in un mondo di immagini delicate, quasi onirico, popolato di sogni e di incantesimi.
Morì a Roma nel 1884. Fu dapprima sepolto a Torino, per sua specifica volontà; poi le sue ceneri furono traslate in Trentino, a Dasindo, il piccolo borgo natio ricongiunto alla Patria. Dal 1923 i suoi resti riposano nella chiesa parrocchiale di questa frazione del comune di Comano Terme.
“Risi coll’oggi, col diman fei guerra / Spensierato e superbo e piansi, e il pianto / Soffocai nel tripudio della terra / Or vo pensoso, amo in silenzio, e canto”…
La poesia di Giovanni Prati è caratterizzata da toni armoniosi e musicali, tipici della lirica romantica: essa dà voce agli stati d’animo e alle aspettative delle classi borghesi e piccolo-borghesi, ma anche agli aneliti delle classi più umili. Dai suoi versi spesso traspare un patriottismo enfatico, ma sostanzialmente moderato nei contenuti; nella sua poetica riluce talora un romantico rimpianto del passato. Le liriche del Prati sono pervase dal desiderio di una vita interiore colma di nobili affetti: per lui, la poesia rappresentava la parte superiore dello spirito. Giosuè Carducci lo definì “il solo veramente e riccamente poeta della seconda generazione dei romantici in Italia”.
Chi volesse approfondire la biografia e le opere di questo poeta di origine trentina, ma che amò tanto Torino, al punto di volerci essere sepolto, consulti: Giuseppe Amoroso, Giovanni Prati. Voci borghesi e tensione romantica, Ed. Giannini, Napoli 1973; e anche: Giuseppe Amoroso, Scritti inediti e rari di Giovanni Prati, Ed. Cappelli, Bologna 1977.
Sergio Donna | Lapidarium, Torino Storia n° 61, mese di Luglio 2021