Rinascono i castelli di Cannero: da fortezza della “Malpaga” a roccaforte dei Borromeo
La famiglia Borromeo, in una recente conferenza stampa, ha comunicato l’avvio dei lavori di restauro e di trasformazione in museo multimediale dei castelli di Cannero, il celebre complesso fortificato in pietra, ora ridotto a romantica rovina, costruito nel primo Cinquecento su due isolette rocciose appartenenti alla sponda piemontese del lago Maggiore.
L’annuncio del progetto, che richiederà per la realizzazione tre anni di cantiere, è stata accolta con entusiasmo dagli enti locali e dagli operatori turistici, che da molto tempo attendevano iniziative volte al recupero e alla valorizzazione di questo importante bene culturale, significativo sia per le vicende storiche che l’hanno riguardato, documentate anche da ricerche archeologiche e archivistiche condotte per volere dei Borromeo, sia per la romantica collocazione nel contesto naturale, tale da renderlo un affascinante punto di osservazione dell’ambiente lacustre.
Per conoscere le origini dei cosiddetti “castelli di Cannero”, che a dispetto del nome e della posizione (si trovano di fronte alla costa di Cannero Riviera) sono inclusi amministrativamente nel territorio di Cannobio, ultimo comune rivierasco del Piemonte prima del confine elvetico, occorre risalire al primo Cinquecento, quando la famiglia Borromeo ottenne il permesso di realizzare un insediamento fortificato a protezione della parte settentrionale del lago Maggiore, al tempo esposta agli attacchi degli svizzeri, in particolare dopo il passaggio del Canton Ticino ai confederati elvetici, sancito con il Trattato della Pace Perpetua firmato a Friburgo nel 1516. Prese così forma tra il 1519 e il 1520 il castello cinquecentesco, costruito su due dei tre isolotti che formano il piccolo arcipelago di Cannero (l’isola Maggiore, l’isola delle Prigioni e lo scoglio del Melgonaro) e battezzato “Rocca Vitaliana” in omaggio a Vitaliano I, capostipite dei Borromeo e principale artefice delle fortune della famiglia, che lega la propria notorietà al suo più illustre esponente, San Carlo Borromeo, il paladino della Controriforma, unito da sincera amicizia al duca di Savoia Carlo Emanuele I. Proprio da Vitaliano I, insignito del feudo di Arona nel 1439 e della rocca di Angera nel 1447, ebbe inizio quel processo di accumulazione di ricchezze e di possedimenti, che avrebbe portato in breve tempo la famiglia Borromeo ad affermarsi come principale feudataria di un’area molto ampia, comprensiva della valle Vigezzo, del Verbano e del Vergante e, con un’accorta politica di equilibrismi diplomatici, che tra XV e XVI secolo li vide allearsi ora con i Confederati svizzeri ora con i francesi conquistatori di Milano nel 1499, a crearsi un piccolo Stato, che fungeva da “cuscinetto” tra il Ducato milanese e l’Impero.
La Rocca Vitaliana, che poteva contare sulla duplice formidabile difesa delle acque lacustri, che la abbracciano da ogni lato, e delle possenti mura edificate lungo il perimetro dell’isola, s’innestava però sulle vestigia d’una precedente fortificazione chiamata “Malpaga” (da cui anche il nome del minuscolo arcipelago), eretta nel primo Quattrocento ad opera dei famigerati fratelli Mazzardi, meglio noti come Mazzarditi, che, appartenenti a una famiglia originaria di Ronco di Cannobio, s’erano distinti come soldati al servizio del capitano di ventura Facino Cane, acquisendo nel tempo potere e ricchezze (il padre Lanfranco, spesso qualificato nelle fonti semplicemente come “beccaio”, cioè macellaio, era in realtà un facoltoso commerciante di pelli e corami). I fratelli, desiderosi di rafforzare la propria posizione, si unirono alla fazione ghibellina di Cannobio, e, approfittando dei torbidi seguiti alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti (1402), presero il sopravvento sui rivali e imposero la propria autorità sul territorio, che attrezzarono anche dal punto di vista militare. Fortificarono la torre campanaria di Cannobio, collegata al vicino palazzo della Ragione, costruirono una torre di controllo nei pressi dell’orrido di Sant’Anna, all’imbocco della valle Cannobina, e potenziarono le difese del borgo di Carmine Superiore, arroccato su uno sperone roccioso tra Cannobio e Cannero.
Attorno al 1403 s’impossessarono anche del piccolo arcipelago di fronte a Cannero, strategico per il controllo delle rotte commerciali che attraversavano la parte superiore del Verbano, collegando la sponda occidentale del lago a quella orientale. I cinque Mazzarditi provvidero alla costruzione d’una fortezza, chiamata “della Malpaga”, nome che secondo la tradizione, commista di verità e leggenda, suggerisce la brutalità dei metodi applicati dai fratelli per punire i “disturbatori” della loro autorità o, secondo altra ipotesi, allude alla provenienza illecita dei denari che, raccolti nei depositi del castello, venivano guadagnati taglieggiando chiunque transitasse nel settore di lago sottoposto al loro “banditesco” controllo.
La tradizione popolare alimentò poi la “leggenda nera” dei fratelli Mazzarditi, enfatizzando gli aspetti sanguinari e pirateschi delle loro imprese, in cui non è facile separare la realtà storica dall’invenzione, e raccontando di prepotenze e soperchierie inflitte alla popolazione, parte della quale, però, come osserva qualche studioso, dovette appoggiarli nella costruzione del potere. Tra loro spiccava per fama e capacità di comando Antonio o Antoniolo, soprannominato “Il Carmagnola” probabilmente perché fu al servizio del famoso capitano di ventura Francesco Bussone, detto appunto il “Conte di Carmagnola” (anche se era conte di Castelnuovo Scrivia) o “Il Carmagnola”, perché nativo di Carmagnola, dove ebbe i natali intorno al 1380/1385. Secondo la versione “ufficiale” i cinque fratelli, a forza di angherie e illeciti arricchimenti, finirono per suscitare la reazione del nuovo Duca, Filippo Maria Visconti, il quale nel 1413 o 1414 (a seconda delle fonti) fece porre l’assedio all’arcipelago Malpaga con l’intento di riprenderne il controllo. Dopo lunga resistenza le truppe ducali ebbero la meglio: seguì lo smantellamento della fortezza e la condanna all’esilio di quattro dei cinque Mazzarditi, mentre il membro eminente della famiglia, Antonio detto Il Carmagnola, venne imprigionato nelle carceri milanesi di Porta Romana.
Scomparve così la fortezza della Malpaga, teatro delle gesta “banditesche” dei Mazzarditi, e l’arcipelago, ambito per la valenza strategica, venne acquisito nel 1441 dai Borromeo che, di lì a poco, pianificarono nuovi interventi edificatori, realizzando poi, con Ludovico Borromeo, la possente Rocca Vitaliana, la cui prima pietra venne posata il 19 marzo 1519, giorno di Santa Giustina, patrona del casato. Nel corso del XVI secolo il castello dei Borromeo assolse con efficacia alle proprie funzioni militari. Ancora nel 1523 la “Vitaliana” resistette a un assedio, questa volta portato dagli uomini del duca Francesco II Sforza, ultimo del suo casato, che aveva disposto la confisca delle terre dei Borromeo e ordinato il saccheggio delle loro proprietà, come punizione per l’accusa di fellonia rivolta al conte Ludovico, nel frattempo rifugiatosi a Locarno, sotto la protezione degli amici svizzeri.
A partire dal Seicento la fortezza lentamente decadde, perdendo, soprattutto con il dominio spagnolo, l’originaria importanza di controllo militare del settore nord del lago. La possente fortificazione delle origini, orgoglio dei Borromeo, si ridusse con il tempo a una sagoma turrita di romantiche rovine affioranti dalle acque del lago. Nei secoli successivi vi fu qualche tentativo di riportare il sito ai fasti delle origini: in particolare alcune fonti ci rivelano che nel 1815, l’anno della Restaurazione, le vestigia della Vitaliana attirarono l’attenzione della principessa Carolina di Brunswick, moglie del principe del Galles, futuro re d’Inghilterra come Giorgio IV. La principessa, assai chiacchierata per una certa inclinazione alle frivolezze, avrebbe chiesto la Rocca Vitaliana in affitto al conte Borromeo, che in un primo tempo parve accettare, per rimpinguare le casse di famiglia e ridare lustro al castello, ma poi al progetto non venne dato seguito, anche per motivo d’uno scandalo in cui Carolina era stata coinvolta.