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Santa Giustina di Sezzadio, antica fondazione monastica nella pianura alessandrina

Alla sinistra della strada provinciale che da Sezzadio conduce ad Acqui Terme e Castelnuovo Bormida, al fondo di un ombroso viale di platani, sorge il maestoso edificio romanico della chiesa di Santa Giustina, principale struttura superstite di un’antica fondazione benedettina che fu, per un certo periodo, tra le più floride e ricche presenze monastiche del Piemonte medievale.

Giustina
La facciata della chiesa abbaziale, con l’alta torre aggiunta nel XV secolo in corrispondenza della prima campata.

L’insediamento in loco della comunità monastica benedettina risale all’iniziativa del marchese aleramico Otberto che viene menzionato in un’iscrizione latina inserita nel pavimento musivo della cripta di Santa Giustina come “reparator et ornator” della chiesa.

In realtà, stando alle conclusioni degli studiosi, Otberto non si limitò a far eseguire lavori di riparazione e abbellimento, come suggerisce l’iscrizione, ma, intorno all’anno 1030, si fece promotore della completa ricostruzione della chiesa nelle forme romaniche che ancora oggi, seppur con qualche inserto gotico e manomissione successiva, possiamo ammirare.

Otberto, che, morendo nel 1047, venne sepolto proprio in Santa Giustina, fece insediare, nell’attiguo monastero, un gruppo di monaci benedettini, secondo una strategia di affermazione politica degli aleramici che, come annota lo storico medievista Aldo A. Settia, vide i marchesi agire come promotori di fondazioni monastiche nei territori da loro dominati, con una preferenza per i benedettini tra X e XI secolo (Grazzano, Spigno e Sezzadio) e per i cistercensi a partire dal XII secolo (Tiglieto, Staffarda, Casanova, Lucedio).

Bisogna dire, inoltre, che il complesso monastico di Santa Giustina sorse, con ogni probabilità, sul sedime di una chiesa più antica, che alcune tradizioni fanno risalire al tempo del re longobardo Liutprando, indicato come primo fondatore del luogo sacro nell’anno 722. Secondo la trecentesca “Cronica Imaginis Mundi” di fra Jacopo da Acqui, Liutprando stava percorrendo la Via Aemilia Scauri per scortare le reliquie di Sant’Agostino da Ippona in Nord Africa, dove il Padre della Chiesa era stato sepolto, verso la nuova sede di Pavia, quando decise di sostare nei pressi di Sezzadio, in un’area di campagna che, da allora, prese il nome di “Prato Regio”.

Liutprando aveva con sé, secondo il racconto di fra Jacopo, un recipiente (pisside) in avorio (“piscide alba eburnea“) contenente una reliquia di Santa Giustina. Spogliandosi per il riposo notturno, il Rex Langobardorum, definito dal cronachista acquese “bonus et devotus christianus“, appese l’oggetto in avorio al ramo d’un albero. Al momento di ripartire, volendo riprendere la reliquia, questa prese a sfuggirgli di mano, saltando di ramo in ramo, come mossa da forza invisibile (“saltavit ad aliumramum et de ramo in ramum“). Il sovrano longobardo interpretò quell’evento prodigioso come una manifestazione della volontà divina e ordinò di erigere nel campo presso Sezzadio una chiesa dedicata a Santa Giustina, deponendovi la reliquia della martire padovana morta al principio del IV secolo durante le persecuzioni dioclezianee.

Giustina

La comunità monastica di Santa Giustina, insediatasi in loco dal 1030 per volere del marchese Otberto e posta dalla fine del XII secolo sotto la protezione papale, alle dipendenze dirette della Santa Sede, conobbe un lungo periodo di prosperità, destinato, però, ad esaurirsi nel corso del XV secolo, come per molte altre istituzioni monastiche, con la diminuzione dei monaci residenti e la nomina di abati commendatari (ndr. ecclesiastici, o qualche volta laici, che percepivano i redditi dell’abbazia senza risiedervi e delegando a un sostituto le funzioni relative alla disciplina e alla vita della comunità monastica).

Nel 1810, con l’entrata in vigore dei decreti napoleonici di soppressione degli enti monastici e conventuali, l’antico complesso abbaziale con i suoi terreni venne ceduto a veterani napoleonici, che produssero non pochi danni al patrimonio artistico della chiesa, che fu anche adibita alle funzioni di fienile e granaio. Molto tempo dopo la Restaurazione sabauda, nel periodo risorgimentale, il complesso abbaziale venne acquistato da Angelo Frascara, deputato del Regno e ingenere, che vi stabilì la residenza di famiglia (la Villa Badia), inglobando nel nuovo edificio parte delle antiche strutture monastiche. Furono i conti Frascara, nel corso del Novecento, a finanziare e promuovere il progressivo recupero del bene culturale e del suo patrimonio artistico.

La chiesa di Santa Giustina appare come un maestoso edificio, dalle severe linee romaniche, con le pareti esterne in laterizio scandite dalla successione di lesene piatte che culminano superiormente in una fascia continua di archetti pensili. L’interno, suddiviso in tre navate con terminazioni absidate semicircolari, si presenta con una pianta a croce commissa e con l’aula centrale attraversata da un profondo transetto.

Nella prima campata della chiesa romanica, che oggi appare separata, a formare una sorta di nartece, si può ancora scorgere la copertura romanica a capriate lignee (secolo XI), mentre la restante parte dell’edificio è stata modificata intorno alla metà del Quattrocento per la decisione di aggiungere le volte in pietra con costoloni gotici tuttora ben visibili, che non sostituiscono, ma coprono la copertura originaria in legno. In conseguenza di questo intervento, si provvide a rafforzare i sostegni delle volte, aggiungendo ai pilastri romanici, già provvisti di due semicolonne addossate, altre due semicolonne, creando in questo modo dei più robusti pilastri compositi.

Sempre al basso Medioevo, tra Trecento e Quattrocento, risale la campagna decorativa che portò ad ornare la chiesa di preziosi affreschi, oggi leggibili soprattutto nell’area absidale, con il Cristo giudice all’interno di una mandorla iridescente affiancato da scene della Passione e del Giudizio Universale.

Il presbiterio della chiesa, inoltre, appare rialzato di circa due metri. Al di sotto, infatti, si apre l’ampia cripta, ambiente sotterraneo absidato e sorretto da esili colonne che mostra un bellissimo pavimento musivo, realizzato nell’XI secolo, con decorazioni in bianco e nero a motivi geometrici e fioroni. Qui si può leggere l’importante iscrizione, cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, dedicata al marchese Otberto, considerato dagli studiosi come il vero fondatore della comunità monastica benedettina: “Otbertus marchio huius domus domini reparator et ornator”.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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