Scopriamo Molare nell’alto Monferrato ovadese tra castelli, boschi e vigne
“Giace a manca dell’Orba, e in vicinanza di esso, in una valle amena dell’alto Monferrato, a scirocco da Acqui, da cui è distante sette miglia”: così l’abate Casalis, storico piemontese dell’Ottocento, descrive il paese di Molare nel suo Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, edito a Torino nel 1856.
L’abitato di Molare, che deve probabilmente il nome a una cava di pietre da macina (“saxa molaria”) esistente in zona e documentata dal Casalis, è situato nel cuore dell’alto Monferrato ovadese, sulla sponda sinistra del tumultuoso torrente Orba che discende dalle balze appenniniche per andare a gettarsi nel fiume Bormida in prossimità di Alessandria. Dai suoli delle colline circostanti, vocati alla viticoltura, si ricavano uve da vino, esportato un tempo in gran copia verso i mercati di Milano e di Genova, come evidenziava già il Casalis, e che oggi danno vita, in particolare, al pregiato Dolcetto d’Ovada DOP (o Ovada DOP).
Questo angolo di Piemonte, proteso verso le selvose cime appenniniche, fu teatro nel 1935 di un tragico avvenimento conosciuto come il “disastro di Molare”, causato dal cedimento di una delle due dighe che formavano lo sbarramento sul torrente Orba ultimato dieci anni prima in località Ortiglieto.
La mattina del 13 agosto di quell’anno, dopo un periodo prolungato di siccità interrotto da precipitazioni molto intense e concentrate in poche ore, la capienza dell’invaso artificiale (lago di Ortiglieto) raggiungeva il limite massimo, iniziando a tracimare. La forza delle acque, che non potevano defluire a causa dell’ostruzione degli scaricatori, provocò il crollo della seconda diga, quella di Sella Zerbino, riversando a valle una massa imponente di acqua mista a fango, dell’altezza di circa venti metri e con un fronte largo due chilometri, che travolse tutto ciò che incontrava sul suo cammino, abitazioni e uomini. Il bilancio della tragedia fu di oltre cento vittime, tra morti e dispersi, i cui resti vennero ritrovati, in alcuni casi, dopo anni.
Tornando alla descrizione del paese, in questo territorio anticamente abitato dai Liguri Statielli, che in epoca romana ebbero come punto di riferimento il municipium di Aquae Statiellae (Acqui Terme), si eressero fin dall’alto Medioevo numerose fortificazioni, a guardia dei percorsi che conducevano dall’area padana verso la costa ligure. Nell’alto Medioevo si formarono nell’area alcuni insediamenti, concentrati nelle località Ceriato e Campale, i cui abitanti, verso la metà del Duecento, iniziarono a trasferirsi sull’altura dove oggi sorge l’abitato di Molare.
Di questa fase di popolamento alto-medievale rimane testimonianza nella pieve di Santa Maria di Campale, oggi chiesa cimiteriale di Molare. Risalente nelle attuali forme romanico-gotiche al XIII secolo, la chiesa conserva all’interno pregevoli affreschi databili tra la fine del Quattrocento e il principio del secolo successivo.
Il territorio di Molare, inizialmente soggetto ai marchesi aleramici, passò in seguito sotto il controllo dei marchesi del Bosco, anch’essi di stirpe aleramica, che, per mettersi al riparo dalla minaccia dell’espansionismo genovese, cercarono l’alleanza matrimoniale con la potente famiglia dei Malaspina, di ascendenza obertenga, insediata con feudi e castelli tra Lunigiana e Tortonese. Fu Agnese del Bosco, intorno al 1230, a portare in dote al consorte, Federico I Malaspina, numerose terre dell’alto Monferrato, come Cremolino, Cassinelle, Morbello, Morsasco, e la località di Molare, che rimase infeudata ai Malaspina (del ramo di Cremolino) fino alla morte dell’ultimo esponente del casato, Isnardo, avvenuta nel 1467.
Con l’estinzione dei Malaspina, la comunità di Molare ritornò, per dedizione spontanea suggellata dalla pattuizione di accordi, sotto il controllo dei marchesi del Monferrato, a quel tempo appartenenti al casato d’origine bizantina dei Paleologi che, esaurendosi nel 1533 con la morte di Gian Giorgio, lasciò il passo nel governo dello Stato monferrino ai Gonzaga di Mantova. Nel 1708, nel quadro della Guerra di successione spagnola, si sancì la definitiva annessione dei territori del Monferrato, incluso il feudo di Molare, ai domini dei Savoia, che garantirono in seguito un lungo periodo di stabilità.
Di questo illustre passato e di queste vicende di potere rimangono evidenti testimonianze nelle dimore signorili che abbelliscono il cuore antico di Molare. Fra queste, risalta il palazzo Tornielli di Crestvolant, imponente edificio d’impronta neoclassica, con interni sontuosi (si segnalano la stanza del Vescovo, al pian terreno, con soffitto in oro zecchino su fondo blu, e gli ambienti di rappresentanza del piano nobile, con apparato decorativo ispirato a motivi rinascimentali e in parte dovuto al pittore ovadese Ignazio Tosi). Il palazzo, dotato esternamente di caratteristiche torrette, venne fatto costruire nella prima metà dell’Ottocento dai conti Tornielli (di origine novarese), che lo innestarono sulle vestigia dell’antico castrum dei Malaspina, caduto da molti secoli in rovina, dopo il trasferimento, avvenuto già alla fine del Duecento, di Tommaso Malaspina, signore di Molare, nel vicino paese di Cremolino, eletto a sede principale della famiglia.
D’aspetto prevalentemente neo-gotico è invece il castello Gaioli-Boidi che, nella sua veste attuale, è il frutto di una serie di interventi realizzati a partire dal Seicento per ammodernare e ingrandire l’antica casa-forte della famiglia Gaioli (in origine chiamata “da Gaiola”, a indicare la probabile provenienza degli antenati della famiglia, che poi si imparentò con i conti Tornielli, dal paese di Gaiola nella valle Stura di Demonte). Documentato fin dalla metà del Cinquecento, quand’era situato ancora al di fuori della cinta muraria malaspiniana, l’edificio aveva carattere rurale, ma venne in seguito trasformato grazie a una serie di cantieri che, succedendosi nei secoli, trovarono il loro completamento negli anni 1880-1885 con un rimaneggiamento della veste esterna del castello in chiave neo-medievale, di ispirazione dandradesca (l’intervento del D’Andrade a Molare è ritenuto probabile, ma non sicuro).
Fuori dell’abitato di Molare, nella piana di Campale, sorge poi un’altra dimora nobiliare, la villa Salvago Raggi, maestoso edificio appartenuto all’illustre famiglia dei marchesi Salvago-Raggi, riplasmato in stile chalet svizzero verso la metà dell’Ottocento. La villa è stata abitata fino a tempi recenti dalla marchesa Camilla Salvago Raggi (1924-2022), poetessa, scrittrice e traduttrice di fama.
Per completare il breve itinerario alla scoperta del territorio di Molare, ci rechiamo infine in frazione Madonna delle Rocche, dove il pianoro s’interrompe bruscamente lasciando spazio ai ripidi pendii boscosi dell’alta valle Orba. Qui esiste da secoli un polo di devozione religiosa di grande richiamo per i fedeli di tutto l’alto Monferrato, il santuario di Nostra Signora delle Rocche, affidato dal 1880 alle cure della congregazione dei Padri Passionisti, fondata dall’ovadese San Paolo della Croce (1694-1775).
Il complesso santuariale sorge nel luogo dove nella seconda metà del Cinquecento si verificò un’apparizione della Vergine che, tramutando prodigiosamente in pani profumati e fragranti le erbe raccolte nella sua cesta da una povera donna del posto, di nome Clarice, diede indicazione di costruire, nel punto esatto in cui oggi si trova l’altare maggiore del Santuario, una chiesa in suo onore (“Và a Molare e di a tutti che qui desidero una Chiesa in mio onore. Qui porrò un trono di grazie”).