Storia e leggenda di un vino amato anche dalla regina egizia Cleopatra: il Brachetto d’Acqui
ACQUI TERME. Nettare afrodisiaco donato da Giulio Cesare e da Marco Antonio alla bella Cleopatra, il Bracchetto d’Aqui è un vitigno peculiare, capace di stupire e sorprendere tanto il giovane apprezzatore quanto l’amatore più navigato. Rosso o “di tappo raso”, rosato, spumante, spumante brut e passito: esistono diverse tipologie di Brachetto d’Acqui, la maggior parte di queste ad oggi prodotte con il tradizionale metodo Martinotti, dove la fermentazione, semplificando notevolmente, avviene in autoclavi pressurizzate ed a temperatura controllata per un periodo non inferiore ai 30 giorni. Da qui, poi, la strada è quella dell’imbottigliamento.
Di color rosso rubino o porpora, il Bracchetto stupisce per la sua dolcezza e per il sapore elegante, che ben si articola con i sentori di rosa e frutta rossa. Il contenuto alcolico è invece contenuto: 11,5° per il vino, 12° per la versione spumante e 16° per il passito. Un vino, il Brachetto d’Acqui, che non apprezza particolarmente l’invecchiamento, e che necessita dunque di essere consumato entro i due anni dalla vinificazione.
Storia
Al di là della leggenda legata all’antica Cleopatra ed ai suoi tanti e più o meno focosi amanti, le prime attestazioni autorevoli sulla fama del Brachetto le riceviamo ai primi del 1800 dal celebre naturalista Giorgio Gallesio, poeta, viaggiatore, funzionario e scienziato italiano, che, dopo averlo definito “vino celebre”, ne testimonia la diffusione in Europa e, anche oltre l’oceano, in America meridionale, classificandolo ottimo vino da dessert, dalla buona gradazione alcolica e poco colorato. Ne parleranno poi Arnaldo strucchi e Carlo Gancia, ma sarà poi soltanto nel 1922 che l’ampelografo Garino Canina, direttore della Stazione Enologica d’Asti, ne traccerà la scheda scientifica e tecnica più attendibile, includendo il Brachetto tra i “vini di lusso”, rossi, dolci ed aromatici: “[…]Tra i vini di lusso il Brachetto appartiene alla categoria dei vini rossi dolci ed aromatici: è infatti un vino con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino, non molto colorito che per lo più si consuma spumeggiante o spumante[…]“
L’avvento della Filossera nella seconda metà dell’800 non facilitò la coltivazione del vitigno che, come tutti gli altri in Europa, si trovò a vivere un non facile periodo, tanto da poter dividere la storia viticola del continente in prefilosserica e postfilosserica. Il primo dopoguerra trovò la coltivazione del Brachetto fortemente colpita, se non in alcuni luoghi fondamentalmente devastata ed i vignaioli, al momento di rimpiazzarla, spesso privilegiarono altri vitigni che, come il Moscato d’Asti, assecondavano maggiormente le nuove tendenze del mercato.
Dopo la nascita nel 1992 del Consorzio Tutela Vini d’Aqui e l’arrivo nel 1996 della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) si segnò un periodo di svolta per il Brachetto, che grazie al salto di qualità e d’immagine vide una nuova e notevole crescita. Nel 1997, infatti, l’uva Brachetto raggiunge la straordinaria cifra di 4.700 lire al Kg e, da allora, questo vitigno ha continuato a viaggiare come uno dei grandi protagonisti nel panorama dei vini aromatici, sapendo reinventarsi per suscitare gli interessi sempre mutevoli dei consumatori e del mercato, con l’introduzione, nel 2019, dell’Acqui docg Rosé, spumante brut da uve brachetto ed i vini “fermi” Acqui docg in versione rosso e rosato.
“Scegliere per i brindisi delle feste un vino a base di uve Brachetto, dolce o brut, fermo o spumante, rosso e rosato non significa solo dare la precedenza a una delle eccellenze piemontesi e italiane famose nel mondo, vuol dire anche riconoscere a una filiera quella sostenibilità e quei ruoli sociale, economico e paesaggistico, che servono per rilanciare un’economia non solo strategica per questa parte di Sud Piemonte, ma che è patrimonio dell’Italia e dell’Europa intere“, ha spiegato non troppo tempo fa Paolo Ricagno, presidente del Consorzio Tutela Vini d’Aqui.