Amalia Guglielminetti, la provocante poetessa dagli occhi magnetici
TORINO. Era il 1912 quando un D’Annunzio allora alla soglia dei 50 anni, attendendola in un hotel della città, la definì “l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia”.
Nei primi anni del Novecento, Torino, conosciuto come luogo che non si faceva incantare facilmente da qualche curva femminile, mirava al carisma, più che alla bellezza delle donne, e, queste utlime, cominciavano a capirlo.
Tra le vie del capoluogo piemontese, era sulla bocca di molti, soprattutto degli intellettuali che, come lei, frequentavano il “Circolo della Cultura”, il nome di una giovane poetessa, Amalia, nata nel 1881. Della famiglia dei Guglielminetti, il cui il bisnonno inventò la prima borraccia in legno, la bruna dagli occhi magnetici, incantava scrittori e giornalisti. Il critico letterario Arturo Graf parlò di versi belli e nuovi: «La sua ispirazione è viva, schietta, delicata quanto più si possa dire, e l’arte la seconda a meraviglia. Quelle sue figure di fanciulle e donne son cose di tutta gentilezza, e molti sonetti son di squisita fattura. E il tutto par che le venga così spontaneo», scrisse.
Amalia che ammalia è, all’epoca, come la scia di un profumo che nuota tra i cinque sensi: oltre ad affascinare con i suoi scritti, incarna una donna che attira la curiosità di uomini e altre donne, indossando abiti liberty, sfoggiando velette da femme fatale, e apparendo sfacciata con i bocchini delle sigarette che fuma. Ciò che sembra trasgressivo in lei, come i versi dei suoi componimenti, Vergini Folli, Seduzioni, L’amante ignoto, L’insonne, in realtà è la parte più profonda, l’anima, un cuore che brucia per la propria audacia.
Sarà stato proprio per questa sensibilità, per il temperamento e per il piacere di essere libera che non ci fu alcun amante, tra cui gli scrittori Dino Segre, molto più giovane di lei, o Guido Gozzano, con cui ci fu un ampio carteggio, che riuscì a starle al passo. D’altronde, è scritto sulla sua tomba al cimitero Monumentale di Torino, Amalia è “colei che sen va sola”.
In vita, però, l’accompagnarono numerose copertine dei giornali: addirittura si dice che ne ebbe più di famose attrici. Moderna e perbene; fasciata in eleganti abiti in seta; fissata per orchidee e fiori esotici; amata dalle giovani donne ribelli, ma disprezzata da molti uomini torinesi, spaventati da un’aura femminista che si portava dietro: questa era la Guglielminetti.
«Ama e godi», sussurrava la poetessa, che, dopo aver tentato la carriera giornalistica a Roma, e aver conosciuto il centro culturale del mondo incarnato da un’affascinante Parigi, morirà nel 1941 a causa di complicazioni dovute a un incidente, accadutole durante un raid aereo. Tormentata da sbalzi depressivi, Amalia Guglielminetti, a cui è dedicata una delle vie di Torino, concluderà la propria vita, così come l’aveva condotta: nella solitaria compagnia di se stessa.