Storie piemontesi: la morte “contesa” del Baiardo, il cavaliere “senza macchia e senza paura”
La mattina del 30 aprile 1524 nelle vicinanze del fiume Sesia, tra i paesi di Romagnano e Rovasenda, la retroguardia dell’esercito francese, reduce da un infruttuoso tentativo di espugnare Milano, si sta ritirando da Novara, inseguita dalle truppe imperiali, quando un’archibugiata colpisce al fianco destro il signore di Bayard, celebrato dai contemporanei come il cavaliere “sans peur et sans réproche” (senza macchia e senza paura), provocandone il ferimento e la caduta da cavallo. L’incidente occorso al prode cavaliere, rispettato anche dagli avversari, come si conveniva ad una società in cui l’etica cavalleresca, con il suo codice di valori, regolava i rapporti tra gentiluomini ancorché militanti su fronti opposti, suscitò la viva commozione di tutti i presenti, che si affrettarono a soccorrere il moribondo, adagiandolo all’ombra d’una grande quercia.
Attorno al cavaliere morente si radunarono il marchese di Pescara, comandante dell’esercito spagnolo, e il duca Carlo III di Borbone, conestabile di Francia, suo antico compagno d’armi che era passato però al campo avverso, essendosi messo al servizio dell’imperatore Carlo V, che l’aveva ben ricompensato, a seguito di contrasti con il sovrano francese Francesco I. La morte del cavalier “Baiardo”, come si legge nei testi italiani, venne immortalata dalla penna di molti scrittori tra cui il nostro Luigi Gramegna (1846-1928), l’Alexandre Dumas del Vecchio Piemonte, che nel romanzo storico “Occhio di gazzella”, incentrato sulla figura della sfortunata Bianca di Challant, decapitata nel 1526 a Milano, ambienta nei dintorni di Romagnano Sesia nell’alto Novarese la tragica fine del condottiero, tra i più valorosi della sua epoca. Secondo il racconto del Gramegna il signore di Bayard, agonizzante e impugnando la spada come un crocifisso, rivolse i suoi ultimi pensieri a una donna, amata in gioventù, indicata nel romanzo come la “contessa Maria di Piossasco”, e alla gloriosa Casa di Savoia, da cui il cavaliere dichiara di aver attinto “quella fede cristiana e quelle regole di leale cavalleria, che mi procurarono la stima degli onesti gentiluomini”.
La brillante carriera militare del Baiardo, che tanto si distinse in vita per l’intrepidezza nel combattere, la devozione a Dio e il rispetto verso avversari e sconfitti, era infatti cominciata alla corte del duca di Savoia Carlo I. Nato tra il 1473 e il 1476 nel castello di famiglia, situato in una località chiamata “Château Bayard” nel mandamento di Avalon, oggi parte del comune di Pontcharra nel Delfinato francese, il giovane Pierre Terrail de Bayard venne inviato nel 1486 alla corte del duca di Savoia, a quel tempo alloggiata al castello di La Pérouse a Montmélian. Al servizio di Carlo I, nelle vesti di paggio, apprese i rudimenti del mestiere di soldato, partecipando allo scontro che oppose nel 1489 il marchese di Saluzzo Ludovico II al duca sabaudo. Fu in questo periodo che il giovane Bayard s’invaghì, ricambiato, di Bernardine Champion, dama di compagnia della duchessa di Savoia, Bianca di Monferrato, che però era già unita in matrimonio con Bertolino di Montbel, conte di Frossasco dal 1524: è lei ad essere menzionata erroneamente nel libro di Gramegna come “Maria di Piossasco” e in altre fonti come “Maria di Frossasco”.
I due giovani, separati dalle vicende della vita, perché nel 1490, con la morte prematura del duca Carlo I, il “prode Bayard” lasciò la corte sabauda per mettersi al servizio di Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny, erano comunque destinati a rivedersi. L’occasione si presentò nel 1499 quando il cavaliere fu ospite al castello di Carignano, dove la vedova di Carlo I, la duchessa Bianca di Monferrato, trascorreva la sua vedovanza. Qui Bayard prese parte a un torneo, disarcionando ben quindici cavalieri e ricevendo in omaggio dall’amata Bernardine un manicotto, conservato come ricordo dell’amata.
La relazione tra Bayard e la dama potrebbe avere un legame con la nascita attorno all’anno 1500 a Cantù, in Brianza, di una bambina, di nome Jeanne, che Bayard riconobbe come sua, senza però rivelare mai l’identità della madre. Su questo punto s’avanza più d’una ipotesi: alcuni storici propendono per Barbara Trecchi, appartenente a una illustre famiglia del Milanese, altri suggeriscono il nome di Bernardine, la contessa di Frossasco. C’è chi poi, come il Perrin-Gouron, punta decisamente in alto, tirando in ballo Bianca di Monferrato, la ancor giovane vedova del duca di Savoia, e scrivendo, pur senza prove decisive, di un possibile matrimonio morganatico con il Bayard. Potrebbe giocare a favore di questa ipotesi il nome scelto per la bambina, Jeanne, che coincide con quello dell’amata sorella di Bianca, Giovanna di Monferrato.
Tornando alle gesta del Bayard, il giovane, militando nelle file dell’esercito francese, dimostrò le sue virtù, ricevendo l’addobbamento cavalleresco e prendendo parte alle numerose campagne militari condotte tra fine Quattrocento e primo Cinquecento dai re di Francia, che in questo turbolento periodo erano impegnati su più fronti, nel Milanese, a Napoli, nelle Fiandre. Nel 1494 Bayard fu al seguito di re Carlo VIII nel regno di Napoli, che il sovrano francese intendeva sottrarre agli Aragonesi rivendicando l’eredità angioina. L’anno successivo, appena ventenne, si distinse nella battaglia di Fornovo presso Parma, che vide la vittoria dei Francesi, poi nel 1499 lo troviamo al servizio di re Luigi XII che, oltre al regno di Napoli, aveva esteso le sue mire al ducato di Milano, al tempo governato da Ludovico il Moro, appellandosi ai diritti della nonna, Valentina Visconti.
Nell’ottobre 1503 Bayard è di nuovo in azione nel regno di Napoli. Qui, sulle rive del fiume Garigliano, a nord della città campana, ebbe luogo l’impresa che ammantò il cavaliere di un alone quasi mitico, attirando l’attenzione di papa Giulio II, che tentò invano di averlo con sé nell’esercito pontificio. il prode cavaliere, su un ponte di barche, fronteggiò da solo, fermandone l’avanzata, un gruppo di circa duecento soldati spagnoli. Tale fu l’eco delle prodezze del Bayard, paragonato a “Orazio sol contro l’Etruria tutta”, che re Luigi XII fece incidere sulle sue armi il motto “Vires agminis unus habet” cioè “uno che ha la forza di un esercito”.
Dopo l’intronizzazione di Francesco I nel 1515, il Bayard divenne luogotenente generale del Delfinato e, in questa veste, organizzò la traversata delle Alpi per l’esercito francese, diretto per una nuova campagna in Lombardia, dove a Marignano (Melegnano) la Francia riportò una schiacciante vittoria contro Massimiliano Sforza, appoggiato da svizzeri e spagnoli. Con l’ascesa nel 1520 di Carlo V d’Asburgo, imperatore e re di Spagna, ci avviciniamo agli eventi cruciali che determinarono la morte del Bayard. Nel 1523 il cavaliere, pur amareggiato dal tradimento dell’amico Carlo di Borbone, partecipò al tentativo di riconquistare Milano, nuovamente persa dai francesi nel 1522 con la battaglia della Bicocca. L’anno seguente, al principio di aprile, la spedizione si concluse con la ritirata francese attraverso il Piemonte: fu in questo frangente che, nella zona tra Romagnano Sesia e Rovasenda, si verificò il ferimento mortale di Bayard.
Dall’incerta localizzazione di questo avvenimento derivò il dissidio tra i due paesi, ancor oggi impegnati a rivendicare l’avvenuta morte del prode cavaliere nei propri territori di pertinenza. Secondo studiosi francesi, nel maggio 1524 la salma venne trasportata Oltralpe, vicino a Grenoble, per essere tumulata in un convento dei frati Minimi. A seguito di danneggiamenti, nel 1822 le spoglie furono trasferite in città, nella collegiata di Sant’Andrea. Gli studi di don Mario Crenna, “un prete alla ricerca di verità nascoste” che fu direttore delle pubblicazioni della Società Storica Novarese, formulano un’ipotesi diversa e suggestiva. Il cadavere sarebbe stato deposto a Romagnano Sesia, in un sarcofago d’epoca romana, in un ambiente noto come la “Cantina dei Santi”, un vano con pareti dell’XI secolo adorne di affreschi che oggi si trova sotto il livello del terreno e che costituisce una delle poche parti superstiti dell’abbazia benedettina di San Silvano (o Silano).
La funzione di questo spazio, forse una portineria o un atrio, non è chiara, ma già nel Settecento s’indicava con il nome di Cantina dei Santi, sia per l’utilizzo improprio come “cella vinaria”, sia per quella sequenza di figure sacre che l’immaginario popolare percepiva come estranee all’uso profano del luogo. Dapprima s’interpretò il ciclo, suddiviso in 28 riquadri, come rappresentazione della vita di San Silvano, martire a Benevento sotto l’imperatore Marco Aurelio, il cui corpo sarebbe stato traslato nell’area dove sorse poi l’abbazia, per volere di un esponente di quella casata arduinica da cui discesero i Marchesi Romagnano, famiglia tra le più illustri del Piemonte.
Con i restauri del 1975, che liberarono i muri dal nerume depositato da candele e lucerne, ci si avvide che il tema iconografico non aveva a che fare con la vita del martire, bensì riprendeva la vicenda biblica di re Davide, una vera rarità per il Piemonte, letta artisticamente secondo lo stile tipico delle “miniature o xilografie di stampo francese” assegnabili tra fine Quattrocento e primo Cinquecento. Il parallelo tra le gesta di re Davide e le imprese di Bayard era evidente per don Crenna, che si rifaceva a un’opera pubblicata a Lione nel 1525 da un cronista francese in cui si paragonavano le virtù del cavaliere a quelle del re d’Israele. Sulla faccia interna della parete d’ingresso don Crenna individuò poi la prova ritenuta decisiva, uno stemma araldico. In contrasto con la tesi prevalente, che attribuiva l’arme a Pietro Tizzoni, signore di Crescentino e commendatario di San Silvano fino al 1487, il sacerdote vi ravvisò il blasone personale, non familiare, di Bayard, interpretando le lettere P.T. in basso come iniziali di Pierre Terrail e non Pietro Tizzoni. Dove finirono però i resti di Bayard dopo l’asportazione del sarcofago? Secondo don Crenna vennero interrati in un angolo della Cantina e poi dimenticati.
Gli scritti di don Crenna si innestano nella tradizione locale che individua il sito in cui fu ferito mortalmente il Bayard nel territorio di Romagnano, a poca distanza dal guado sulla Sesia, in un prato presso la pieve romanica di San Martino di Breclema, unica costruzione superstite dello scomparso villaggio di Breclema, possedimento dei conti di Biandrate distrutto nel XIV secolo.
A Rovasenda, quieto paese di risaie dell’alto Vercellese che evoca nel nome l’antica abbondanza di foreste di querce (silva Rovaxinda), la versione dei fatti è invece diversa: qui, alla base dell’alta torre quattrocentesca che costituisce l’elemento più vistoso del castello, in gran parte smantellato, appartenuto a un ramo dei conti di Biandrate, si trova una lapide posata per iniziativa del Municipio nel 1971 in cui si commemora la morte del Baiardo “ferito a morte nei pressi di questo castello”. Gli abitanti di Rovasenda sono talmente determinati a difendere il loro “privilegio”, conteso dal vicino comune di Romagnano, da aver siglato un gemellaggio con il paese delfinale di Pontcharra, dove sorgono le vestigia del castello dei Bayard.
Le loro ragioni trovano riscontro nelle ricerche di valenti scrittori e studiosi, come Arlando Colombo, il “cantore della baraggia” morto nel 2015, che, basandosi sulle pubblicazioni di Camille Monnet, scrisse diversi libri sulla figura di Bayardo, tra cui La quercia del Bayardo e la selva della Baraggia. Storia e personaggi (1997) e Il mito del cavaliere senza macchia e senza paura. Il Bayardo nella guerra dei nostri tempi (2003). Anche lo storico Mario Ogliaro, vicepresidente della Società di Studi Vercellesi e autore del saggio “Il Prode Bayard e l’eclissi dei cavalieri”, propende per il comune vercellese, ricordando la “vasta storiografia francese dedicata a Pierre Terrail, signore di Bayard, caduto nei pressi di Rovasenda il 30 aprile 1524”.