Sulle note di Aznavour e Farassino: quando Montmartre cedette il posto a Porta Pila
TORINO. Nei giorni scorsi abbiamo un po’ tutti (affettuosamente e meritatamente) celebrato il grande Charles Aznavour, uscito definitivamente di scena con la sua dipartita. Tuttavia pensiamo che sia mancato finora il classico “tocco finale”, la curiosità o la rarità degna di suscitare un minimo di interesse tra appassionati e/o semplici ascoltatori. Proviamo a colmare noi di “Piemonte Top News”, molto modestamente, questa “lacuna”, proponendovi una bellissima versione della canzone La Bohéme in lingua piemontese, uscita poco dopo le edizioni in originale francese e in italiano, in cui la parigina Montmartre cede il posto alla torinesissima Porta Palazzo (“Porta Pila”, come si dice in “lenga”, certamente più attraente un tempo).
Autore del testo “subalpino” di questa canzone di Aznavour e interprete era un altro indimenticabile personaggio, sicuramente “la voce di Torino” più nota negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta: l’attore-cantante Gipo Farassino (1934-2013), il quale incise questa personale rivisitazione nel 1967, all’interno del 33 giri Auguri, il primo da lui pubblicato con la Fonit-Cetra, casa discografica con la quale collaborò a lungo e che lo lanciò definitivamente in tutta Italia, Sud compreso.
A beneficio anche dei nostri lettori non piemontesi, abbiamo preparata una traduzione letterale in italiano, molto alla buona, del testo di Farassino: la potete leggere qui sotto, non prima di avervi augurato un buon ascolto.
Vi parlo di quegli anni che i giovani di vent’anni non ricorderanno: Porta Palazzo a quell’epoca, con i suoi banchi e il suo mercato, era come una grande festa. Mi ricordo che di sera le rive della Dora erano piene di ragazzi. Ci eravamo conosciuti là, tu facevi la sartina ed io ero disperato.
Porta Palazzo, Porta Palazzo, voleva dire: senza pensieri. Porta Palazzo, Porta Palazzo, il più bel borgo della nostra Torino.
Ti aspettavo ogni sera, davanti alla sala della pettinatrice , proprio sotto casa tua; io facevo i salti mortali per comprare quattro sigarette Nazionali e portarti al cinema Aurora; poi, quando tornavo dalla nostra passeggiata, incontravo i monelli del borgo; mi fermavo ad un angolo, prendevo una chitarra e cantavo le mie canzoni.
Porta Palazzo, Porta Palazzo, voleva dire: volersi bene. Porta Palazzo, Porta Palazzo, il più bel borgo della nostra Torino.
Quando ci siamo lasciati, mi ricordo che ho detto: “Vedrai che un bel giorno tornerò a casa, pieno di soldi e rispettato, e quel giorno tu sarai mia”. Tu piangevi, ridevi e ogni tanto mi dicevi: “Io t’aspetterò qui. Torna presto assieme a me ! La mia vita sarà grigia, sarà vuota senza te”.
Porta Palazzo, Porta Palazzo, voleva dire: volersi bene. Porta Palazzo, Porta Palazzo, il più bel borgo della nostra Torino.
Ti ho scritto qualche volta e tu mi hai risposto, ma poi non ti sei fatta più sentire e, adesso che sono tornato, ho saputo che ti sei sposata e non stai più a Porta Palazzo; non c’è più quella bottega della pettinatrice e la Dora somiglia a un canale chiuso con i suoi mercati coperti. Porta Palazzo sembra morta e io canto dispiaciuto:
Porta Palazzo, Porta Palazzo, la gioventù, senza pensieri. Porta Palazzo, Porta Palazzo, adesso non è più che un sogno lontano.