CuriositàLingua & tradizioni piemontesi

Tasche, tascapani e taschini nei proverbi piemontesi

In lingua subalpina suonano come sacòce, sacapan e sacocin

Le tasche dei pantaloni, delle tute e dei camici dei lavoratori delle fabbriche e delle officine torinesi del Novecento, costituivano una sorta di officina portatile supplementare d’emergenza. Dentro alle tasche di operai e capisquadra, spesso arrotondate alla base per facilitare il ritrovamento di oggetti di piccola dimensione, c’era un po’ di tutto: chiavi del dodici, bulloni, viti, rosette, cacciaviti… Tutto doveva essere a portata di mano per far fronte ad imprevisti o necessità impellenti che potevano manifestarsi all’improvviso a chi era addetto a un tornio, a una fresa, o lavorava accanto a macchinari diversi.

…Con ël gnònio al sacocin, / co’ ‘l faudal o ’l camison, / a la fresa, ij torn, le màchine, / [j’ovrié] a-j parlavo për dabon; / an sacòcia ciav dël dódes, / quàich bolon, doi tornavis… (ovvero: …Con il regolo al taschino, / con il camice o il grembiale, / alle frese, ai torni e alle macchine,/ [gli operai] parlavano per davvero: / nelle tasche, chiavi del dodici, / due bulloni e un cacciavite…), scrivevo qualche tempo fa in una mia poesia.

Non meno cariche di oggetti e attrezzi di lavoro erano le tasche dei pantaloni dei contadini: accanto alla scatola di fiammiferi per accendere il sigaro toscano, non mancava mai un coltello pieghevole. Ciò che non era possibile conservare nelle tasche, veniva infilato nella correggia, come il falcetto e l’immancabile “cote” per affilare le lame degli attrezzi.

E poi il tascapane. Se l’operaio delle fabbriche si portava da casa un frugale pasto da consumare nella pausa pranzo ben stipato nel baracchino (dove convivevano insieme il “primo” e il “secondo”), per il trasporto del suo spuntino (una micca, un pezzo di formaggio, un salamino, una mela), il contadino si avvelava più spesso di un tascapane di cotone, da cui, appena giunto al campo da lavorare, provvedeva ad estrarre la fiasca del vino per porla al fresco nella vicina bealera.

Quelle tasche, quei tascapani e quei taschini sono entrati nell’immaginario collettivo: hanno ispirato testi di canzoni, poesie, proverbi e modi di dire.

Avèj lamel an sij làver e ‘l cotel an sacòcia… (ovvero: “Avere il miele sulle labbra e il coltello in tasca”) è una locuzione verbale il cui significato è esplicito: invita a diffidare da chi ti sorride ma poi è pronto a pugnalarti (anche in senso morale) alla prima occasione.

Un “baracchino” e un “tascapane” per il trasporto del cibo in fabbrica e nei campi

In un’altra mia poesia, Sarà ch’i son vej, ebbi occasione di scrivere: …stagh bin ëd salute; / pecà che an sacòcia / l’hai pòche valute (ovvero: …ho buona salute, peccato che in tasca c’ho poche valute). La tasca e il tascapane, oltre a fungere da “Pozzo di San Patrizio” per operai e contadini, sono anche la metafora della ricchezza, e se le tasche sono vuote significa che si dispone di poco denaro. Ci possiamo tuttavia consolare con un aforisma di Victor Hugo, che affermava: “Mentre le tasche si svuotano, il cuore si riempie”. Beato lui. Oppure con una frase di don Bosco che affermava: “La salvezza dei poveri sta nelle tasche dei ricchi”.

Uno spunto interessante lo offre anche la mia poesia Ël lajan (il Flaneur): …L’autërdì come un lajan / spassëggiava lì pian pian / ant la Piassa Carignan: / an sacòcia tnìa mie man… (cioè: L’altro giorno, pigramente / nella Piazza Carignano / passeggiavo piano piano, / in tasca [tenevo] la mia mano): è opinione diffusa che tenere le mani in tasca sia espressione di pigrizia e di indolenza.

Un’altra nota frase sul tema delle tasche è la seguente: “I lo conòsso come le mie sacòce” (Lo conosco come le mie tasche) riferita, ad esempio ad un quartiere della città che si conosce molto bene, perché ci si vive o ci si è nati, oppure al contenuto di un libro, letto e riletto decine di volte.

La “sacòcia” ripiena: un gustoso piatto riservato alle grandi occasioni

E poi non voglio dimenticare la “sacòcia” intesa come un taglio di carne di vitello al quale nella parte centrale veniva ricavata una sacca, farcita di vari gusti e ingredienti (uova, prosciutto, formaggio, ecc.): la sacòcia veniva cotta lentamente al forno, e rappresentava un primo piatto decisamente riservato alle grandi ricorrenze.

Ma ci sono anche altre curiose interiezioni, tipicamente – anzi, direi squisitamente – piemontesi che proprio dalle sacòce (tasche) e dai sacocin  (taschini) prendono ispirazione. Alcune sono espressioni di stupore gentili, quasi divertenti, generalmente rivolte ai bambini. Come: Sacocin d’Olanda! Oppure più semplicemente: Saconin! (tout court). Esprimono – anzi: esprimevano –  stupore, meraviglia, ma anche disappunto. Lo usavano le nostre nonne e bisnonne per richiamare i loro figlioli allorquando commettevano una marachella (tutto sommato perdonabile). L’educazione, a quei tempi, era trasmessa con severità ma spesso con garbo, distinguendo naturalmente tra le mancanze più lievi (rimarcabili con un bonario “Sacocin!”) da quelle più gravi, alle quali erano riservate punizioni che oggi sono giustamente considerate inaccettabili.

E concludo con un’altra espressione sul tema: Ciapa, pija e buta an sacòcia, equivalente più o meno a quella che in lingua nazionale risuona più o meno così: “Pesa, incarta e porta a casa!”.

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio