Cesare Lombroso, il “chiacchierato” fondatore dell’antropologia criminale
TORINO. Parlare dei grandi personaggi del Piemonte non è parlare unicamente dei nobili o regnanti che qui hanno avuto i natali, ma anche di quelle figure che, in altri ambiti, artistici, scientifici, politici, vivendo la nostra regione, hanno portato avanti alcune delle grandi idee che oggi sono alla base della nostra società. In tal senso, è doveroso parlare di Cesare Lombroso, una figura oggi sicuramente composta tanto di chiari, quanto di scuri, ma che certamente non può passare in sordina ad un’analisi delle grandi personalità che in Piemonte hanno vissuto.
Nell’impossibilità di raccontare esaurientemente i tanti ambiti del sapere che hanno visto l’apporto della sua penna, scriviamo qui qualche cenno della sua vita, nella speranza di portare qualche riflessione e, perché no, di portare a ricordare e magari ad approfondire questa personalità a dir poco fuor dalla norma.
«È bene una triste missione, la nostra, di dovere, colla forbice dell’analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere, quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s’illude, l’uomo, nella sua boriosa pochezza, e non potere dar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi sogni, che l’agghiacciato sorriso del cinico! Tanto, è fatale, anche, la religione del vero! Così il fisiologo non rifugge dal ridurre, a poco a poco, l’amore ad un gioco di stami e di pistilli… ed il pensiero ad un arido movimento delle molecole. Persino il genio, quella sola potenza umana, innanzi a cui si possa, senza vergogna, piegare il ginocchio, fu, da non pochi psichiatri, confinato insieme al delitto, fra le forme teratologiche della mente umana, fra le varietà della pazzia», Cesare Lombroso, Genio e Follia.
Cesare Lombroso nasce nel 1835 a Verona. Terzo di sei figli di una famiglia ebrea strettamente osservante, la formazione di Lombroso fu fortemente influenzata dal cugino David Levi, il quale lo avvicinò a quel culto della ragione e della libertà di pensiero che erano contrari al rigorismo religioso del padre. Su questo pensiero, ispirato anche dagli scritti del medico Paolo Marzolo, maturerà la scelta di abbandonare le scuole pubbliche e, all’alba del 1850, di proseguire privatamente la propria educazione.
Lombroso è uno studente eccezionale; eclettico, i suoi interessi non si limitano unicamente alla medicina. Lettere, Storia e Scienze Naturali; durante il suo corso di studi, ci affascina di Cesare la figura di uno studioso “poliglotta”, amante tanto delle scienze quanto delle arti. Si laureerà infine nel 1858 alla facoltà di medicina di Pavia, con una tesi sul cretinismo lombardo, e perseguendo poi gli studi a Pavia e Vienna.
La sua carriera come medico militare inizierà l’anno immediatamente successivo; in Calabria, a combattere contro il brigantaggio, che in quegli anni di forte tensione imperversava nel sud della penisola, Lombroso incomincia a raccogliere, collezionare e catalogare i reperti che lo porteranno a sviluppare le sue prime teorie sul comportamento criminale e le sue origini. La vera svolta avviene nel 1864: docente all’università di Pavia, Lombroso pubblica “Genio e follia”, dove esprime, per la prima volta in maniera compiuta, la sua teoria; egli sostiene che i due estremi, per l’appunto il genio e la follia, non siano che facce della stessa medaglia, entrambe deviazioni dalla normalità causate da anomalie organiche.
Le teorie di Lombroso però non nascono dal nulla; la physiognomica, la frenologia ed il determinismo biologico che trovava sempre più appoggio nelle giustificazioni dell’espansione coloniale: le teorie di Lombroso sul comportamento criminale prendono ampio spunto da una corrente di pensiero che, in Europa, da tempo si muoveva con passi pesanti. Non dobbiamo però per questo pensare che il successo delle sue opere fu un qualcosa di facile: all’inizio di “Genio e Follia”, il Lombroso dovette combattere per sradicare i pregiudizi morali relativi alla delinquenza, ormai ben radicati nella società. La maggior parte dei contemporanei continuava a considerare i delinquenti unicamente colpevoli, reputando irrilevanti gli studi di Lombroso sulle cause della loro colpevolezza.
Ottenuta la cattedra di medicina legale a Torino, dove poi trasferì la grande collezione che formerà l’attuale museo di criminologia, Lombroso pubblica “l’uomo delinquente”, dove inciderà su carta, nel corso delle 4 riedizioni dell’opera, le sue idee. Si delinea qui il profilo criminale, le sue caratteristiche biologiche e quelle anomalie che l’hanno reso tale. Lombroso da qui l’immagine del pazzo morale e del pazzo epilettico, dei delinquenti epilettici e dei delinquenti nati, nonché dei mattoidi, riscontrando ampio consenso da un pubblico che, in breve tempo, fu affascinato da queste teorie e dalle loro possibili implicazioni.
Ovviamente, le teorie di Lombroso non furono sempre apprezzate: uno degli obiettivi dello studioso era quello di inserirsi nel dibattito politico di quegli anni e di risolvere, con il supporto della scienza, l’arretratezza dell’Italia meridionale ed il brigantaggio. Diverse personalità illustri dell’epoca, tra cui Napoleone Colajanni, politico e saggista italiano, criticarono questo approccio: «È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale». Anche l’impostazione scientifica di Lombroso non fu particolarmente apprezzata dai suoi contemporanei, così come non lo sono oggi; criticate furono affermazioni, per noi oggi palesemente antiscientifiche ed ingiustificate, come quelle contenute nel saggio “il ciclismo nel delitto”, in cui l’autore affermava che «la passione del pedalare trascina alla truffa, al furto, alla grassazione».
Ad ogni modo, se l’atavismo di Lombroso è scientificamente lontano dai nostri standard e dai nostri modi di indagare lo spazio e le realtà a noi circostanti, è però innegabile la volontà e l’ambizione di Lombroso, per l’epoca, di studiare il crimine in modo “materialista”, piuttosto che “metafisico”, collezionando, catalogando e misurando non solo i corpi, ma anche la cultura ed il comportamento dei soggetti criminosi. E quest’attitudine, per quanto fortemente esposta agli stereotipi della sua epoca e spesso decontestualizzata, l’ebbe anche in politica.
Dal 1870 in poi, data assunta come inizio del “periodo pesarese”, il Lombroso si concentrò maggiormente sullo studio dell’antropologia; qui, iniziò ad indagare le correlazioni biologiche tra i pazzi ed i criminali, ricercando le tracce del primitivismo. In tal senso, per lo studioso, le tracce della fossa mediana, di norma presente unicamente nei primati e nei gorilla, suscitò l’ipotesi che ci fosse un nesso tra l’evoluzione naturale della specie ed i comportamenti del singolo; riassumendo, per Lombroso, la forma del cranio era direttamente associata alla delinquenza, e la fossetta, oggi appunto chiamata anche fossetta di Lombroso, era uno dei tratti con cui riconoscerla e, potenzialmente, prevenirla.
Negli ultimi anni della sua vita, nonostante il suo dichiarato ateismo, Cesare si avvicinò allo spiritismo; nel libro «Dopo la morte – cosa?», affermò la genuinità della celebre medium Eusapia Palladio, i cui trucchi furono più volte scoperti, e di credere nello spiritismo. «Lombroso si bevve tutto, dalla tavola spiritica alla materializzazione dei defunti, alla fotografia spiritica alle voci degli spiriti stessi; ogni storia, vecchia o nuova, irrispettivamente dal fatto che venisse da fonti attendibili o meno, la quale confermasse la sua voglia di credere», scrisse lo scrittore ed antropologista inglese Edward Clodd.
La vecchiaia di Lombroso non è semplice; Gina Ferrero, la figlia, scriverà che gli ultimi anni di vita del padre furono segnati da un’arteriosclerosi che gli aveva minato la salute mentale e fisica, e circondato dai figli e dai nipoti passerà i suoi ultimi anni, combattendo contro l’angina pectoris. Cesare Lombroso morirà verso la mezzanotte del 18 ottobre 1909, nella sua casa a Torino in Via Legnano 26. La Salma, ancora oggi, risiede nel Cimitero Monumentale della città, ed a lui sono state dedicate numerose vie, a Pavia, a Milano, a Firenze ed ovviamente a Torino, la città che l’ha ospitato e che ancora oggi è sede dell’omonimo museo di antropologia criminale.
Fondato da Cesare Lombroso nel 1876 ed inaugurato ufficialmente nel 1898, il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso riunisce la collezione privata raccolta dallo stesso nell’arco della sua vita. Oggi molte delle teorie dello scienziato sono state ampiamente superate e ridiscusse, ed il valore scientifico delle stesse profondamente rivalutato. È però innegabile, nella prospettiva dello storico, l’apporto che Cesare Lombroso ha dato nell’evoluzione della disciplina di cui è stato fondatore, la criminologia, e della stessa visione del criminale; per questo il museo è stato concepito: nella prospettiva di una «funzione educativa intesa a mostrare come la costruzione della conoscenza scientifica sia un processo che avanza grazie alla dimostrazione non tanto di verità, quanto della “falsificabilità” di dati e teorie che non resistono a una critica».