Torino e lo zoo di Parco Michelotti: la fine di un’epoca, l’inizio di un’altra

TORINO. «Le zampe penzolano giù dal tavolaccio. Bambini sbrodolati del gelato della domenica la indicano e fanno domane («le piacerà il cioccolato, mamma? Perché non si muove?») Qualcuno le getta pezzi di pizza. E la pantera nera posa gli occhi su quel campione d’umanità con lo sguardo d’un impiegato statale annoiato. Snaturato nel cemento dietro le sbarre, quel che resta della belva sbadiglia. Meglio immaginare che non pensi. Ma se pensasse, cosa direbbe delle ultime polemiche sullo zoo di Torino?», scrisse sulla stampa di un lunedì 14 luglio del 1986 la giornalista Eva Ferrero. Sarà un anno dopo, nel marzo del 1987, che chiuderà definitivamente lo zoo di Torino, che dal 1955 occupava il Parco Michelotti di Corso Casale, in quel tratto compreso tra la Gran Madre e Corso Gobetti.

«Duemila firme per chiuderlo. Una formale richiesta è stata inviata al sindaco da parte dell’Associazione radicale ecologista affinché il contratto di gestione del giardino zoologico, affidata a una società privata, non venga rinnovato alla scadenza del 31 dicembre. Contemporaneamente si chiede che sia avviata la procedura per smantellare l’attuale struttura», si può leggere sulla Stampa dell’8 luglio 1985. All’epoca si parlava di rinnovo, di ristrutturazione totale, trasferimento e abolizione; oggi, però, in quei suoi tre ettari di superficie, tutto rimane invariato; dalla vasca degli orsi al rettilario, c’è ancora tutto. Tranne gli animali, quelli no, fortunatamente, ma la struttura è ancora lì, anche se più vecchia, certamente più spoglia, e sicuramente più degradata. Il suo futuro, oggi come allora, rimane oscuro, incerto, soprattutto dopo la notizia che Zoom ha deciso di abbandonare l’idea di aprire all’interno il suo parco cittadino. Lo zoo del parco Michelotti sembra quasi guardarci, testimone silenzioso di un passato che molti hanno dimenticato, un relitto di un’epoca in cui molte cose erano diverse e tante altre venivano percepite differentemente; in cui le pantere «meglio immaginare che non pensino!», quando le guardiamo mentre mangiamo il gelato.

La storia del giardino zoologico di Torino, lo zoo del parco Michelotti, si dipana nell’arco di poco più di trent’anni, dal 1955 al 1987; la sua nascita avviene proprio nel 1955, quando la Giunta comunale delibera di concedere la zona del Parco Michelotti, per trent’anni, alla Società Molinar.

«Non v’è dubbio che una delle decisioni più simpatiche e popolari prese di recente dall’amministrazione civica sia stata quella di dotare Torino d’un giardino zoologico, accettando una nota proposta privata. Così poco pittoresca è la vita contemporanea in una grande città, così tediose e monotone sono le giornate malgrado il tumulto delle cose e dei casi straordinari — anzi, proprio per questo, perché nulla v’è di più malinconico del non potersi più stupire, nel male e nel bene —, che l’idea degli elefanti e delle tigri, degli orsi e dei pitoni, delle scimmie e dei marabù sulle rive del Po, ridestò in tutti, grandi e piccini, fantasie liete, colorite di esotismo. Benvenute dunque le belve, quando giungeranno in questa nordica e nebbiosa Torino. Dove ospitarle, dove crear loro, così la dimora, l’illusione della selva, del deserto, del fiume questa scelta, il Municipio l’ha fatta», fu questo, al tempo, il parere del soprintendente ai Monumenti e alle Belle Arti. Il 18 luglio 1955, terminata la costruzione delle gabbie, arrivano i primi “ospiti”, leoncini e scimmie. Sarà lo stesso sindaco dell’epoca, Amedeo Peyron, a fare visita al cantiere. Il 2 settembre, verrà firmato l’atto di nascita dello Zoo di Torino. Per anni, lo zoo di Corso Casale diventa un simbolo della città, fiore all’occhiello per gite scolastiche ed eventi “naturalistici” d’ogni tipo; all’alba del gennaio 1971, lo zoo ospita 117 mammiferi, 739 uccelli, 114 rettili e 1353 pesci su una superficie quadrata di 50.000 metri e diversi sono gli ampliamenti in progetto. Decine di migliaia di studenti in visita, ogni anno, ma anche molti, moltissimi problemi: scimmie in fuga che bombardano i passanti dagli alberi del parco, guardiani addentati da orsi e tante, troppe morti di animali la cui cura sarà spesso criticata. Certo, ci sono i progetti di ampliamento e di ammodernamento, come l’allargamento dello zoo in un moderno parco zoologico “senza sbarre” nel parco di Stupinigi, ma, anche qui, i problemi derivanti dalla mancanza dei servizi rendono impossibile stabilire un “quando” per la fine dei lavori.

E, infine, l’epilogo; i tempi sono cambiati e una nuova sensibilità ha preso piede tra le masse: ora la pantera pensa e non si può più fare finta che non sia così. L’importazione di animali esotici ha subito severe e fortunate restrizioni, mentre la nuova sensibilità ecologica guarda con sempre più orrore e sgomento a quelle sbarre che, troppo simili a carceri, rinchiudono gli animali negli zoo. Basta curiosità, è tempo della pena; era la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. Il giardino zoologico della città è ormai da tempo economicamente in grave perdita e, allo scadere della convenzione con la Ditta Molinar, risulta improponibile per il Comune prendersi carico di un deficit così oneroso: il 28 marzo 1987 chiude definitivamente lo zoo. Si può leggere, sulla Stampa di quella domenica 22 marzo, l’intervento del direttore Terni, «ricordo quando, il 20 Ottobre 1955, i giornali con orgoglio lo chiamavano La città zoologica e lodavano il progetto avveniristico dell’Ing.re Gabriele Manfredi».

Chiusi i cancelli per l’ultima volta, la storia di questo luogo si interrompe; la giraffa sarà l’ultima a lasciare il parco, ma noi ancora ce lo ricordiamo: quando a Torino, un tempo, c’erano le tigri in gabbia.

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