Trino e il Bosco della Partecipanza dove i druidi celtici compivano riti legati alla fertilità
Passando nei pressi di Trino, nel Vercellese, località purtroppo nota per aver ospitato la centrale nucleare dal 1961 al 1987, anno in cui venne chiusa a seguito di un referendum abrogativo, si attraversa un paesaggio quasi lunare. Le terrazze delle risaie, impiantate fin dal XV secolo creano crateri quando la pioggia si lascia desiderare, ma se invece tutto funziona come dovrebbe, ecco aleggiare l’umidità e con essa le leggende che hanno da sempre accompagnato questi luoghi. Curioso è il territorio dove si trova il Parco naturale del Bosco delle sorti della Partecipanza di Trino, un’area di 584 ettari estremamente interessante, che consente di vedere uno dei pochissimi esempi ancora esistenti di foresta planiziale. Con questo termine si indica un tipo di vegetazione antica, risalente a prima dei disboscamenti iniziati nel periodo medievale e una visita in questa foresta mostra come doveva essere l’habitat dell’antica Pianura Padana, che rappresenta anche una meta ambita per i botanici, per le oltre 400 specie che la popolano.
Già in epoca romana si ritiene che il sito fosse un bosco sacro, e come tale pare venisse utilizzato dai druidi, i sacerdoti delle popolazioni celtiche, per compiere i riti legati alla fertilità o alla buona sorte. Le “terre d’acqua”, come sono chiamate le zone delle risaie, sono da sempre conosciute per essere un po’ magiche, abitate agli effetti dai celti, così come affermava Plinio il Vecchio in Vercellae Libicorum ex Salyis ortae (Vercelli fondata dai Sallui nella regione dei Libici): “I Celti Sallui con i Vertacomacori si diressero sull’Agro Vercellese impadronendosi delle terre degli Ictimuli”. Nelle zone limitrofe sono stati molti i ritrovamenti che hanno fatto ritenere che la zona fosse parecchio popolata e che vi sia ancora molto da scoprire, come nel caso del 2002, quando, durante gli scavi per la TAV, è stata scoperta, per un caso fortuito, un’intera necropoli romana con 212 sontuose tombe.
Giulio Cesare era rimasto impressionato dai druidi, uomini al vertice della società gallica, che spesso si recavano in Britannia per completare la loro istruzione di indovini, bardi e medici, da Plinio abbiamo invece appreso delle cerimonie per la raccolta del vischio e dei sacrifici propiziatori tenuti dai druidi e della loro conoscenza delle piante e delle leggi della raccolta, nonché della loro importanza per il benessere fisico e morale della popolazione.
Possiamo allora immaginare le riunioni che si dovevano tenere nel bosco sacro di Trino, al calar della sera, in specifiche giornate, durante le quali nel cielo si producevano allineamenti propiziatori e in terra si susseguivano le stagioni, e i riti diventavano necessari per assicurare una protezione divina.
Trino fu anche la sede principale del feudo dei Paleologi, famiglia nobiliare che resse le sorti del marchesato del Monferrato dal 1305 al 1532, come si può leggere sul sito Visitvalsesiavercelli; la città conserva ancora delle particolarità moresche nell’architettura, un unicum in Piemonte, come le arcate a cupola del castello aleramico, un vero tesoro per il visitatore attento, che quasi si sente trasportato in una città spagnola. E non a caso in realtà, perché alla fine del 1400 in questa zona si sviluppò una fiorente arte tipografica, ampliata poi in tutto il nord Italia, con botteghe esportate anche in Spagna e Francia. Uno dei tipografi più noti fu Gabriele Giolito de’ Ferrari, che in seguito si spostò a Venezia, dove evidentemente riusciva a fare più affari, e dove fu il primo a stampare la Commedia di Dante definendola “divina”.
Trino Vercellese può davvero rappresentare una tappa importante nel panorama dei viaggi piemontesi, un comprensorio modesto a prima vista, che nasconde una storia antica e parecchie curiosità.
testo di Katia Bernacci
foto di Marino Olivieri
Per approfondire:
Itinerari del mistero Piemonte, Marco Mietta, Yume edizioni