UberTaxi approda a Torino, ma poche auto bianche aderiscono: ecco come funziona
TORINO. Nato nel 2009 a San Francisco, Uber arriva in Italia nel 2013, sbarcando a Torino con il servizio UberPOP nel Novembre 2014. Ad aprile 2015, però, in seguito alle manifestazioni degli “autoctoni” tassisti locali che accusano il servizio di concorrenza sleale, il tribunale di Milano blocca UberPOP in tutta Italia. L’azienda di San Francisco ci riprova nel Torinese, cercando di riguadagnare terreno con una delle sue ultime creazioni: UberTaxi, già testata nelle città di Dusseldorf, Atene, Berlino, Dublino e Istanbul che, dal 4 dicembre, permette agli utenti al servizio nel territorio piemontese di “prenotare una corsa” in un “Taxi bianco” con regolare licenza.
«Sappiamo di aver commesso degli errori. Ora vogliamo dimostrare di meritare fiducia», dichiara Dara Khosrowshahi, amministratore delegato di Uber che ha sostituto nell’incarico il cofondatore Travis Kalanick. «Ora vogliamo partire da qui, da questo progetto: vogliamo essere un partner sul lungo termine. Sappiamo di non poter partire subito alla grande, ma dobbiamo dimostrare nel tempo che si possono fidare», commenta il portavoce per il sud-ovest Europa dell’azienda, Yuri Fernandez.
Ma come funziona? Servizio di “car pooling” (in italiano “covetturaggio”, ossia condivisione di automobili private tra un gruppo di persone), UberTaxi è un’applicazione smartphone che collega i taxisti direttamente agli utenti che hanno bisogno di raggiungere una destinazione. I clienti hanno a disposizione tutte le funzionalità note di Uber, come la possibilità di avere informazioni sull’autista, dividere il costo della corsa, visualizzare il percorso del proprio spostamento. Con il sistema di anonimizzazione, passeggeri e autisti possono mettersi in contatto telefonicamente o via chat senza condividere il numero di telefono. Di fatto, prima della corsa, Uber trova il taxi più vicino, inviando al “cliente” la scheda profilo del conducente ed informandolo quando questi avrà accettato la corsa. L’utente può cancellare la richiesta fino a due minuti dopo l’accettazione della richiesta e, tramite app, condividere il taxi con altre persone, dividendo il costo della corsa. Alla fine del viaggio, al passeggero verrà inviata la ricevuta elettronica con il riepilogo della “corsa”, mentre sulla cifra finale indicata dal tassametro, Uber percepirà una commissione del 7%, similmente agli altri servizi di car pooling analoghi.
«Se rispettano le regole non vedo alcuna ragione di interferire. Noi ci limiteremo a monitorare che questo succeda. Non vogliamo un far west come in passato. Noi abbiamo degli obblighi pressanti, quindi riteniamo giusto che si rispettino i nostri diritti», commenta Massimo Zappaterra, vicepresidente di Federtaxi-Cisal di Torino in un’intervista al Sole 24 Ore. Tra i 1400 taxisti che popolano la città Metropolitana, solo poche decine hanno aderito al progetto: «Ci gratifica anche la preferenza accordata a Torino dalla multimilionaria azienda californiana fondata da Travis Kalanick – commentano da TaxiTorino, la più importante realtà italiana del settore –: fra tutte le città italiane è quantomeno curioso che la scelta sia caduta sulla nostra città, ma pare che Torino abbia da sempre il profilo della città-campione»