TORINO. E’ stato presentato venerdì scorso a Luserna il docufilm Le miniere del Beth – Sulle orme di Pietro Giani diretto da Fabio Solimini Giani, nipote in terzo grado di Pietro al quale è decidato questo lavoro. Nato nel 1806 da una famiglia che già agli inizi del Settecento possedeva cave di marmo e granito usate per l’edificazione di innumerevoli opere monumentali tuttora presenti in Torino e in Piemonte, Pietro Giani, fu un vero antesignano dell’industria estrattiva, uomo di elevate doti morali. Nominato Cavaliere direttamente dal Re nel 1859, diede ai suoi operai non solo lavoro ma soprattutto dignità, fondando scuole serali per insegnare loro a leggere e scrivere.
Il docufilm narra le vicende che lo portarono allo sfruttamento delle miniere ramifere del Colle del Beth (2785 mt s.l.m.), situate nelle Alpi Cozie, in alta Val Chisone, tuttora uno dei cantieri minerari più alti d’Europa, la cui apertura costituì un’importante attività economica per la comunità locale, divenendo un polo di attrazione anche per i lavoratori delle vallate vicine e non solo.
Il film è stato proiettato nelle valli Chisone e Germanasca, quindi a Pinerolo nelle scorse settimane e venerdì scorso a Luserna. Lo sfruttamento delle miniere di rame del Beth in Val Troncea è rievocato grazie ai numerosi documenti reperiti in valle e alle testimonianze di persone che hanno memoria di quelle vicende, in modo particolare della grande valanga del 1904 che provocò 81 morti. Una tragedia che suscita diverse emozioni e pensieri. Molti di quei minatori avevano meno di 30 anni e soltanto tre erano sopra i 50. Arrivavano da Pragelato e dalla val Chisone ma anche dalla val Germanasca e dalla val Pellice. Diversi erano quelli di Abbadia, Pinerolo, San Secondo, San Pietro val Lemina, della Francia. Uno era di Perugia altri di Belluno.
Un mondo di giovani che lavorava nelle gallerie, che erano state aperte a 2.800 metri di quota sullo spartiacque fra la val Troncea e il vallone di Massello, ed estraeva calcopirite (da cui si ricavava mediamente il 7% di rame e il 42% di zolfo). Il materiale, dopo un primo trattamento, con un sistema di decauville, teleferiche e treni veniva portato prima a Pinerolo e poi a Marsiglia. Qui veniva trasformato e commercializzato, pare come verdemare.
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