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Viaggio in Valle Po alla scoperta di un mestiere scomparso da decenni: il pettinatore di canapa

Sino all’inizio del Novecento, in alta Valle Po, uno dei mestieri stagionali che vedeva impegnati gli uomini durante l’inverno era quello dei pettinatori di canapa, detti brustiàire, più precisamente i brustiaire dla cauna. Quelli di Ostana, piccolo centro in Valle Po oggi considerato uno dei Borghi più belli d’Italia, erano conosciuti in ovunque si producesse canapa, anche oltre confine, tant’è che il Comune la indicava addirittura come professione sui passaporti. Fin dal 1800 era tradizione per Ostana, così come per Crissolo, l’emigrazione stagionale. I “canapini” a gruppi di tre, scendevano in Piemonte e in Liguria o si dirigevano in Francia per cardare la fibra grezza. in autunno e tornavano in primavera spostandosi in pianura da un paese all’altro.

Una fase della raccolta della canapa

In pianura la canapa era stata seminata a spaglio (semi molto vicini) nei mesi di aprile e maggio, su terreni ben concimati, riparati dal vento, possibilmente ombreggiati. Le piantine avevano raggiunto anche i due metri di altezza e, alla fine di luglio erano mature. Venivano tagliate, raccolte e trasportate sull’aia al sole ad essicare qualche  giorno. Poi si battevano per ricavarne i semi. I fusti venivano portati a macerare in acqua corrente dai dieci ai venti giorni, quindi si estraevano dall’acqua, si lavavano e si battevano, Infine venivano asciugati al sole. Si procedeva alla scortecciatura alla maciullazione al mulino da canapa per ricavarne le fibre. A questo punto entravano in gioco i brustiaire che pettinavano la canapa passandola su grandi spazzole dentate, per renderla fine, morbida e allineata.

Lo strumento principale utilizzato dal brustiaire era il pettine da canapa (bruni in Occitano) che oggi assieme ad altri oggetti originali lo possiamo osservare al Museo etnografico di Ostana. Il pettine era composto da punte o rebbi: veniva fissato al banco da lavoro, per mezzo dei due fori presenti sulla base, in modo che i chiodi fossero rivolti verso l’alto. I pettini erano sempre tre, uno più grosso, uno medio e uno piccolo per la rifinitura. In effetti, a seconda di quanto erano fitti i denti del pettine si ottenevano tre prodotti diversi, via via più pregiati.

Il trasporto dei fasci di canapa

Il “canapino” passava e ripassava tirando dolcemente la canapa fra i denti del pettine, tenendola con la destra, e sentendo con la sinistra la morbidezza della fibra; così continuava a pettinare fino a raggiungere la giusta raffinatura. Quindi suddivideva le “matasse” di fibre pettinate in pacchi per destinarle a vari usi. Dalla prima pettinatura si otteneva la stoppa che serviva per produrre le funi e i finimenti per il bestiame. La seconda pettinatura produceva una fibra di canapa intermedia usata per realizzare tessuti grezzi destinati a fare lenzuola, sacchi per la farina, bisacce o teli da materasso. Infine, con il terzo passaggio si otteneva il “fiore”, un prodotto pregiato, formato da fili sottili come capelli e destinato alla realizzazione della biancheria da corredo come tovaglie e asciugamani. Si tenga presente che nel periodo bellico il filo per cucire era diventato così raro che per sostituirlo talvolta si usarono proprio i fili del “fiore” di canapa.

Una borsa utilizzata per il trasporto dei pettini da canapa (Museo di Ostana)

Purtroppo nel secondo dopoguerra con la diffusione del cotone, la canapa è andata scomparendo, cancellando di fatto un importante settore artigianale, che dava sostentamento a numerose famiglie. Peraltro, anche nel settore del cordame, le fibre sintetiche hanno sostituito quasi del tutto la canapa nel processo produttivo.

Immagine tratta dalla Fototeca Gilardi

Come nel caso di altre maestranze itineranti (spazzacamini, ramai, calzolai, muratori, ecc.), nel corso del tempo acquisirono e contribuirono a elaborare uno speciale gergo, chiamato pantòis a Crissolo e grapiét a Ostana. Molti dati su questo particolare linguaggio sono stati raccolti nel libro Il gergo dei canapini di Crissolo (Edizioni dell’Orso di Alessandria), curato da Aline Pons e Matteo Rivoira che hanno ripreso parti della tesi di laurea di Gustavo Malan. Si tratta di un vero e proprio percorso alla riscoperta del linguaggio identitario dei pettinatori di canapa dell’alta Valle Po. I dati risalgono agli Anni Quaranta del secolo scorso, figli di interviste fatte ad alcuni degli ultimi gerganti di Crissolo (in particolare Claudio Perotti, il “patriarca delle guide del Monviso”). Il volume presenta anche un ricco glossario corredato da alcuni testi introduttivi e da ipotesi di interpretazione etimologica dei singoli termini. A questo nucleo originario sono stati aggiunti alcuni testi e un repertorio italiano-gergo che contribuiscono a valorizzare il lavoro, sia come documento storico sia come strumento di conoscenza di un particolare gergo occitano.

Piero Abrate


Piero Abrate

Giornalista professionista, è direttore responsabile di Piemonte Top News. In passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. E’ stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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